ARECHI I, IL SECONDO DUCA DI BENEVENTO

di Alessio Fragnito e Vincenzo Antonio Grella

Morto Zotto, duce dei Beneventani, gli successe Arechi, inviato del re Agilulfo; egli era nato a Cividale ed aveva educato i figli del duca friulano Gisulfo, del quale era parente1”.

Questi le prime righe di Paolo Diacono che presentano l’ascesa di Arechi I al ducato Beneventano.

Da queste righe emergono immediatamente due tratti importanti: il primo è il tentativo politico del potere centrale del Re di Pavia di consolidare il proprio controllo su tutti i territori dominati dai Longobardi, il secondo è la nazionalità del nuovo duca, Arechi infatti era originario di Cividale e per tanto appartenente alla potente stirpe Friulana.

Dopo la morte di Alboino e l’assassinio del figlio Clefi2, i duchi Longobardi si contesero il potere in un conflitto decennale, passato alla storia come il Periodo dei Duchi o anche dell’“anarchia ducale”3. Ora in questo periodo nessun duca espresse realmente un progetto politico in grado di metabolizzare le aspirazioni autonomistiche insite nella mentalità dei duchi, ma ogni azione era lasciata all’avventurismo e all’ambizione personale con gravi ripercussioni sulla stabilità interna. Tuttavia qualsiasi analisi fatta con impianto anacronistico porterebbe ad un giudizio negativo e scorretto su questo periodo che va dal 574 al 584. Non possiamo semplicemente etichettare i Longobardi come “non ancora civilizzati” e quindi assumere a questa indiscrezione le cause dell’anarchia ducale sarebbe oltremodo pretestuoso4. I Longobardi non avevano mai posseduto un organizzazione centralizzata, anche Alboino era a tutti gli effetti un Rex di convenienza, eletto per motivazioni pratiche oltre che di stirpe5, ma il suo effettivo potere si scontrava con i fortissimi legami clanici che costituivano l’ossatura delle fare, ognuna della quali si aggregava a personaggi eminenti con un proprio potere militare di indubbio peso, composto proprio dai guerrieri della sua gente.

Di fatti la forza militare e l’aggressività sociale dei Longobardi esplose in tutta la sua formidabile e terribile essenza, tanto è vero che fu in questo periodo che troviamo le tre spedizioni di saccheggio della terra dei Franchi6, sempre in questo periodo avviene la diaspora dei Sassoni e allo stesso tempo la vittoria contro i Bizantini di Baduario del 576. Sempre in questo periodo troviamo l’effettivo passaggio di Zottone alla gens longobardorum già descritta nel precedente saggio.

In particolare l’episodio della diaspora dei Sassoni deve essere visto nell’ottica di un consolidamento dell’identità Longobarda, che benchè non tradotta ancora nella costituzione di uno stato, esprimeva le aspirazioni del ceto militare ampiamente rappresentata dai Duchi. Tanto è vero che i Sassoni, i quali avevano partecipato all’invasione longobarda dell’Italia in grande numero (circa 30.000) non vengono cacciati, ma davanti alla prospettiva di una sudditanza alle leggi longobarde e il loro inserimento nelle strutture sociali longobarde, che significava l’annichilimento della propria identità, i Sassoni preferiscono emigrare. Ora questo episodio testimonia che l’identità longobarda era assolutamente solida, ma la sua espressione era fortemente condizionata dagli interessi del ceto militare dei Longobardi, composto da una molteplicità di duchi che avevano ingrandito il proprio potere militare nel corso degli eventi bellici accaduti prima e durante l’invasione dell’Italia. I Longobardi in questa fase di certo non avevano un progetto politico unitario e omogeneo, ma tutto erano fuorchè una marmaglia non civilizzata di stupidi barbari assetati di sangue come in alcuni casi sono stati apostrofati. In sostanza i 35 duchi che governavano altrettante città italiane non sentivano l’esigenza di una centralizzazione del potere, che sarebbe significato cedere una parte del proprio potere militare e rinunciare all’espansione del proprio Ducato. Fino a quando fu possibile, i duchi longobardi si limitarono, come dice Paolo Diacono, a governare ognuno la propria città7, lanciandosi, chi più chi meno, in campagne militari di espansione dei propri domini e di arricchimento non solo personale ma di tutto il seguito militare che lo circondava e che in questa fase era anche difficile tenere a bada.

Infatti la situazione cambiò radicalmente solo quando si palesò la minaccia esterna che mise seriamente in discussione la sopravvivenza del dominio Longobardo.

In risposta alle incursioni longobarde nella loro regione, i Franchi si organizzarono e penetrarono in Italia riuscendo già nel 575 a conquistare Aosta. I Duchi, privi di una qualsiasi forma di coordinamento militare tra di loro, furono incapaci di opporre una seria resistenza o di ricacciarli indietro. Le armate franche dilagarono per almeno sei anni in scorrerie che culminarono con il saccheggio di Torino del 581, saccheggio che fu vendicato a caro prezzo8.

La mancanza di una comune linea di azione permise anche a Bisanzio di riprendere l’offensiva. In particolare si ripresero i rapporti diplomatici con in Franchi9, a cui i bizantini elargirono somme cospicue per indurli a muovere guerra ai longobardi10, cercando in tal modo di costruire una strategia in grado di mettere in ginocchio il mal fermo dominio dei Duchi. Impossibilitati ad intervenire militarmente, i bizantini cercarono di corrompere i singoli duchi longobardi per convincerli a schierarsi dalla parte dell’Impero. Fortunatamente per i longobardi, i numerosi incontri tra Franchi e Bizantini non portarono ai risultati sperati da questi ultimi, visto che i Franchi si limitarono ad una nuova offensiva agli inizi del 584 che si concluse con un riscatto pagato dai Duchi, dopo di che i Franchi tornarono nelle loro terre, voltando le spalle ai Bizantini11.

Il vero risultato delle trame Bizantine fu di attrarre alcuni Duchi Longobardi che passarono dalla parte degli Imperiali. Con la mancanza di un reale progetto di coesione interna, i vari duchi potevano tranquillamente decidere di cambiare schieramento,12 inseguendo le proprie aspirazioni e questo fu il tratto più evidente che dimostrava l’impossibilità di difendere in maniera efficace i nuovi domini.

Nell’autunno del 584 il consiglio dei Duchi elesse Autari, figlio di Clefi, a re dei Longobardi.

La nascita di questa monarchia, fu sancita dalla cessione fatta da ogni duca di metà dei propri beni, al fine di consegnare un patrimonio territoriale che permettesse all’istituto regio e i suoi vari uffici di mantenersi autonomamente13, visto che il grande tesoro dei longobardi era stato rubato da Rosmunda e il suo amante quando insieme assassinarono il Re Alboino. La scelta di Autari fu ovviamente un tentativo di ripristinare uno status quo che ponesse le basi di una coesione politica e militare in grado di superare il difficile momento, in questa ottica sembrerebbe un ritorno alla tradizione tipica dei popoli germanici, cioè la presenza di una guida forte in momenti di difficoltà. Tuttavia è ben evidente come la cessione patrimoniale avesse lo scopo di garantire una stabilità all’istituzione monarchica, senza però che questa potesse però mettere in discussione l’autonomia ducale. Questa complessa dialettica accompagnerà il regno Longobardo fino alla caduta di Pavia nel 774.

Storia di Milano ::: Regine longobarde

Il Re Autari, che assume il titolo di Flavio14 come da tradizione romana, si scagliò immediatamente contro i nemici del regno. Sconfisse sia i Franchi che i Bizantini, spezzandone la coalizione e nel 585 si assistette alla prima tregua tra Longobardi e Bizantini. Nel 588 le ostilità ripresero tra Autari e il re dei Franchi Childeperto II15, ma ancora una volta i Longobardi uscirono vincitori. Per garantire la stabilità politica, però bisognava mettere in pratica una strategia politica in grado o di porre fine alle ostilità o di mettere pressione ai Franchi. Fallita la via diplomatica con il mancato matrimonio tra Autari e Clodosvinta , sorella di Childeperto16, la diplomazia longobarda si spostò sul regno dei Bavari17, anche essi nemici dei Franchi. Autari si fidanzò con Teodolinda, figlia del Duca dei Bavari Garibaldo, molto temuto militarmente dai Franchi, la quale sarebbe diventata indispensabile per il futuro politico dei Longobardi. Il 15 maggio del 589 Autari e Teodolinda si sposavano, cementando così l’alleanza tra Bavari e Longobardi18.

Nel 590, su istigazione Bizantina, scoppiò un nuovo conflitto tra i Franchi e i Longobardi. Stavolta la coalizione Franco-Bizantina riuscì ad avere rapidamente la meglio, complice la doppia strategia messa in campo. Da un alto la forza militare Franca che mise in ginocchio molte fortezze e dall’altro la sottile politica disgregatrice dei Bizantini che riuscirono a far passare dalla loro parte numerosi Duchi. In questo periodo i Bizantini non erano in grado di inviare truppe in Italia a sostegno nell’Esarcato né dei loro alleati, a causa delle tensioni che stavano suscitando gli Slavi nei Balcani.

Trincerato a Pavia, Autari non poteva intervenire direttamente, e sembra che i longobardi si limitassero a lanciare incursioni contro i Franchi per fiaccarne il morale. Ma a colpire duramente il nemico fu il clima. Stando a quanto racconta Paolo Diacono, un caldo improvviso e diversi terribili eventi climatici misero in ginocchio le truppe dei Franchi, i quali furono costretti dalla fame e dalla malattia e tornare nelle loro terre19.

Stando sempre al racconto di Paolo Diacono, in seguito a questa inaspettata vittoria, dietro la quale fu impossibile non vedere un intervento della provvidenza divina, re Autari decise di visitare tutti i territori ufficialmente dominati dai Longobardi. Questo viaggio terminò a Reggio, dove Autari toccò con la lancia la colonna che si diceva essere lì posta, sancendo in questo modo i confini del dominio Longobardo20.

Siamo di fronte ad un vero e proprio mito fondatore del regno. Sacralizzato dalle parole di Paolo Diacono, questo episodio testimonia per la prima volta l’esistenza non più di un dominio, ma di un regno e di un popolo uniti sotto un unica guida. E’ qui molto probabilmente che assistiamo effettivamente alla nascita di un vero e proprio regno delle genti Longobarde.

Durante le trattative tra i Franchi e i Longobardi per assicurarsi la pace, Autari Flavio morì improvvisamente, molto probabilmente avvelenato21. Evitando di cadere nel complottismo storico, risulta però evidente che la morte di Autari avrebbe provocato sicuramente gravi tumulti all’interno del regno, sopratutto grazie a quella parte dei Duchi che ancora rimanevano filo Bizantini.

La breve esperienza di Autari però aveva lasciato il segno. I Duchi avevano ben compreso che senza un elemento di coesione il regno non poteva essere difeso, quindi un re si sarebbe dovuto comunque essere ora per sempre. A mantenere le redini del comando fu Teodolinda. Seguendo le parole del Diacono, la sua influenza e la sua capacità di regnare furono talmente forti che i duchi le concessero di scegliersi un marito e la scelta cadde sul Duca di Torino Agilulfo. Del resto Teodolinda era la materializzazione della alleanza con i Bavari, che doveva essere mantenuta e rafforzata a tutti i costi in una fase molto delicata che avrebbe potuto degenerare militarmente.

I Longobardi in Italia riassunto - Studia RapidoAgilulfo era cognato di Autari, e per tanto non era una figura estranea né agli ambienti di corte né tanto meno lontano dalla dinastia regnante. Nonostante la forte componente romanzesca con cui Paolo Diacono descrive le motivazioni di questa scelta22, è lecito pensare che gli stessi duchi abbiano organizzato il matrimonio in accordo con lo stesso Agilulfo. Nel maggio del 591 Agilulfo venne proclamato re da tutto il popolo Longobardo riunito a Milano, ma sappiamo dallo stesso Diacono che egli incominciò ad esercitare il potere già nel nel novembre dell’anno precedente.

L’inizio del regno di Agilulfo e Teodolinda fu segnato da fortissimi scontri interni, furono costretti a sopprimere due rivolte dei duchi e mandare al patibolo i rivoltosi23. Gli organizzatori di queste rivolte erano di fatto alcuni dei Duchi disertori e filo Bizantini che rifiutarono categoricamente l’ascesa al potere di Agilulfo. Però queste rivolte non avevano né solide basi politiche né militari e per quanto coraggiosi e audaci fossero i ribelli, le loro azioni non potevano rovesciare lo status quo imposto dal nuovo regime di Agilulfo.

E in questo clima che avviene la nomina di Arechi I a Duca di Benevento.

Nel 590, secondo le coordinate del Diacono, moriva Zottone senza lasciare eredi. La necessità di riprendere la politica accentratrice di Autari costrinse il nuovo re di Pavia ad intervenire rapidamente per colmare questo vuoto di potere. Come detto nella precedente narrazione su Zottone, egli non aveva seguito sociale e pertanto il suo dominio non aveva prodotto cambiamenti politici e sociali rilevanti nel territorio. La scelta di inviare Arechi invece era la naturale prosecuzione del processo di omologazione politica e sociale che doveva essere necessariamente portato a compimento, anche nei territori periferici del Meridione.

Arechi I era un arimanno proveniente dal Friuli e legato al governo centrale, e sebbene il fine fosse quello di ripristinare il controllo regio su “tutta l’Italia”, egli si mostrò subito di pronto ad esercitare il proprio potere autonomamente. Come dimostreranno i primi anni del suo ducato, segnati dalle notizie di assalti e distruzioni di centri abitati, con relativa soppressione della sede vescovile.

Le fonti che abbiamo a disposizione per ricostruire gli eventi di questo periodo, in effetti, si riducono alle Lettere di Papa Gregorio Magno24, eletto al soglio pontificio nel 591, il quale si prodiga moltissimo per cercare di ridurre l’impatto sulla società italiana delle conquiste longobarde. A tal proposito, è importante sottolineare come in questo periodo i longobardi non debbano mai preoccuparsi di un massiccio intervento militare da parte dei bizantini in quanto l’imperatore Maurizio, già impegnato in oriente contro i Persiani, verrà ucciso da una congiura che porterà l’usurpatore Foca sul trono. Ne nascerà quindi una instabilità politica che, unita alla continua minaccia persiana, impedisce di fatto ai bizantini di preoccuparsi di quello che accade in Italia, per cui le truppe longobarde in tutta Italia ed in particolare al Sud, dove non sono numericamente imponenti, non trovano resistenze, se non quelle organizzate autonomamente dalle città che si fortificano e resistono, sviluppando in tal modo una marcata autonomia politica che farà di numerose città delle vere e proprie entità politiche autonome, come ad esempio accadrà per la città di Napoli.

Da una delle prime lettere scritte da Papa Gregorio Magno sappiamo che Minturnae era stata devastata dai Longobardi e la diocesi era completamente abbandonata, per cui si rendeva necessario accorparla alla diocesi di Formia. Dal pontefice sappiamo anche che verso la fine del 590 Canosa era stata saccheggiata dai Longobardi, e il papa si lamentò dello stato di abbandono e devastazione in cui versava la città dopo l’invasione, in due lettere indirizzate nel 591 rispettivamente al suddiacono Pietro25, rettore della Sicilia, a cui chiede espressamente soldi per la Chiesa e il Clero di Canusium, e a Felice vescovo di Siponto. Preoccupato della difesa di Roma e temendo un lungo assedio, il pontefice scrisse nell’estate del 591 una lettera allo Stratego della Sicilia per chiedergli di comprare del grano destinato al rifornimento di Roma e una altra lettera al magister militum Veloce, responsabile della difesa dell’Urbe, il quale assieme a tre colleghi presidiava un avamposto militare non specificato che aveva funzione di baluardo contro le avanzate dei Longobardi, per comunicargli di aver trattenuto dei soldati a Roma e per chiedergli di contrastare il più possibile le truppe del duca di Spoleto Ariulfo, se queste si fossero avvicinate a Roma.

Capitolo 3 | L'Italia longobarda, fino a Liutprando

Con la nomina regia di Arechi I come Duca di Benevento nel 591, la situazione non cambia per nulla, anzi, nella prima fase del suo ducato, Arechi è molto aggressivo e lo stesso Papa esprime un pessimo giudizio sulla sua persona in una lettera del 592, definendolo talmente astuto e perverso da essere l’incarnazione del diavolo, il “nemico” per eccellenza. Il suo giudizio nasceva ovviamente dalla pericolosità dei longobardi beneventani, i quali realizzano diverse incursioni contro i centri meridionali, le quali hanno come effetto immediato la soppressione delle sedi vescovili e dei monasteri, l’abbandono delle città e dei centri abitati con la conseguente fuga dei civili e dei religiosi verso altre città o altre zone più facilmente difendibili.

Come sappiamo da Papa Gregorio, la prima città di una certa importanza ad essere assediata dal nuovo duca Arechi I è Napoli. L’assedio viene portato dai beneventani insieme ai longobardi di Spoleto, guidati da Ariulfo, il secondo duca spoletino che era succeduto a Faroaldo, il quale, come Zottone, faceva parte di contingenti germanici al soldo di Bisanzio e che poi decise di ribellarsi per creare un ducato autonomo. In una lettera scritta al vescovo di Ravenna, Gregorio Magno invoca l’intervento urgente dell’esarca per difendere la città partenopea in quanto “Arechi, come abbiamo potuto accertare, si è unito ad Ariulfo rompendo la sua fedeltà alla Repubblica (da intendersi all’Impero Bizantino) e trama molto contro la stessa città” per cui deve essere spedito un duca molto velocemente26.

L’assedio longobardo a Napoli si svolse necessariamente con un grande dispiego di forze. Come sappiamo da Procopio, Napoli era infatti una città fortificata, trasformata militarmente già da Valentiniano III nel 440 e difficile da prendere in quanto alla fine della guerra gotica si era dotata di ulteriori fortificazioni, come ad esempio il Castrum di Miseno, di cui non abbiamo notizie prima di quelle che ci provengono dalle lettere di Gregorio Magno, e che doveva costituire un baluardo non indifferente, anche se mal messo, almeno a giudicare dalle lettere in cui Papa Gregorio ci informa dei lavori di ristrutturazione che erano in atto. Altro castrum a difesa di Napoli era il Castrum Lucullanum, ubicato ad occidente rispetto alla città e non molto distante da Porta Cumana, conosciuto dagli storici per aver accolto l’esiliato Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore romano d’occidente. Il castello lucullano, chiamato così perchè ricavato da una antica villa appartenente al patrizio Lucullo, oggi non esiste più, in quanto smantellato nel 902 e sostituito dall’attuale Castel dell’Ovo, che ne prese in parte il posto sull’isola di Megaride, ma all’epoca doveva essere il principale fortilizio della città. Al suo interno infatti vi erano il monastero e l’oratorio di San Severino, la basilica di San Pietro, l’oratorio di San Michele, terreni coltivati a disposizione del monastero e quindi doveva essere molto più esteso dell’attuale Castel dell’Ovo, ergendosi fino alla collina di Pizzofalcone. Essendo l’esarca di Ravenna impossibilitato ad intervenire, nonostante il Papa lo avesse implorato di inviare un dux o un magister militum in quanto l’esercito napoletano si trovava senza guida, ed avendo i bizantini di Costantinopoli altri problemi a cui pensare, la difesa della città dalla minaccia dei due duchi longobardi venne affidata da Papa Gregorio al tribuno Costanzo. In tal modo il Papa si ergeva a istituzione politica, infatti in una lettera esortò gli abitanti di Napoli ad obbedire a Costanzo al fine di resistere all’assedio longobardo27.

Dopo pochi mesi di assedio, alla fine i due duchi longobardi si ritirano, o meglio, dirottano la loro irruenza militare contro obiettivi più fattibili, almeno Arechi I, mentre invece Ariulfo marcia addirittura contro Roma con la pretesa di conquistarla. Rovistando nelle altre lettere del Papa infatti veniamo a sapere che Arechi I, almeno della prima fase del suo ducato, guida numerosissime incursioni e tentativi di conquiste contro quasi tutte le città del meridione.

TeodolindaDa una lettera del febbraio del 592 inviata al vescovo di Atella sappiamo che la chiesa di S. Maria detta di Pisone era in pessime condizioni a causa di queste incursioni nemiche. Nel 592 gli attacchi dei longobardi di Arechi si dirottano verso i centri costieri di Velia, Bruxentum e Blanda, i quali sono tutti rimasti senza vescovo e le diocesi vengono accorpate a quella di Agropoli. In una lettera del novembre 594 sappiamo che il clero di Capua è dovuto fuggire dalla città perchè è stata conquistata dai longobardi beneventani e adesso è rifugiato nella città di Napoli, l’unica a rimanere in mano ai bizantini. Nel settembre dell’anno successivo, il 595, il pontefice si lamenta che nella città di Venafro non è stato più possibile eleggere il Vescovo in quanto la città è caduta nelle mani dei longobardi. In una lettera del 596 il pontefice racconta che egli stesso è stato costretto ad intervenire per riscattare gli abitanti di Amalfi che erano caduti prigionieri nelle mani dei guerrieri longobardi e che nulla ha potuto per gli abitanti di Nola, anch’essa divenuta possedimento longobardo. Per pagare il riscatto e liberare gli abitanti di Amalfi, il Papa usò parte delle libbre d’oro inviatigli dalla sorella dell’imperatore bizantino Teoctista. Lo stesso anno i longobardi guidati da Arechi riescono a conquistare la roccaforte bizantina di Crotone, che però non riusciranno a mantenere e dovranno di nuovo cederla ai bizantini. Le conquiste della Campania si completano nel 599 con Atella e nel 601 con la conquista di Nuceria Alfaterna, entrambe registrate anche da Gregorio Magno, il quale alla fine riuscirà ad ottenere una pace duratura con Arechi I solo nel 603, un anno prima della sua morte, avvenuta nel 604.

Le conseguenze delle incursioni longobarde in Campania sono definite drammatiche dal Papa nelle sue lettere, dove egli si lamenta soprattutto delle condizioni in cui versano tre monasteri, ovvero il monastero di Sant’Arcangelo, il monastero Graterense e il monastero marcianese: il primo era stato pesantemente depredato dai Longobardi, il monastero Graterense invece doveva essere unito agli altri due monasteri per le sue pessime condizioni, infine il monastero Marcianese a causa della guerra era talmente abbandonato che non vi era neppure un monaco che si prendeva cura di esso.

Ma oltre alla Campania, le conquiste longobarde di Arechi I coinvolsero anche il Lazio meridionale: nel 592 sotto la minaccia dei longobardi si rese necessario evacuare tutti gli abitanti di Fondi e trasferirli a Terracina, mentre la diocesi di Tre Taberne (attuale Cisterna di Latina), ormai sprovvista di mura difensive, venne accorpata a quella di Velletri28. Per quanto riguarda la Calabria, Gregorio Magno nelle sue lettere fa trapelare che la minaccia longobarda era un problema notevole, nonostante la lontananza: nel 591 la città di Tauriana (ancora oggi esistente, nei pressi di Palmi) era stato abbandonata da vescovo e abitanti e i monaci si erano sparpagliati in Sicilia, per cui il pontefice da incarico al vescovo di Messina di radunarli tutti di nuovo e di ospitarli nel Monstero di San Teodoro a Messina29. Inoltre in una lettera al Vescovo di Squillace il Papa fa trapelare che la Civitas Lussitana, un centro abitato non identificato, era caduto nelle mani nei nemici30; nel 594 e di nuovo nel 597 si parla della diocesi di Myria, abbandonata per colpa dell’invasione longobarda, per cui il Papa comanda al vescovo di Messina di dare dei soldi a un certo Faustino, appartenente alla Chiesa di Myra, per consentirgli di pagare il riscatto delle figlie. Molto probabilmente, quindi, anche a Myria come a Crotone i longobardi non presero possesso della città ma si militarono a saccheggiarla e a fare prigionieri gli abitanti per ottenere un copioso riscatto. Infine, per la Puglia, nelle lettere di Gregorio troviamo solo un riferimento alla città di Gallipoli, il cui vescovo viene esortata dal Papa a predisporre una buona difesa dei cittadini da eventuali minacce, ma non abbiamo testimonianze di attachi longobardi ad altre città, almeno in questa fase.

Papa Gregorio I - WikipediaSul finire del VI secolo, la situazione sembra però essersi calmata e non di poco: da una serie di lettere gregoriane scritte nei primi mesi del 599 sappiamo che il magister militum di Napoli, tale Aurenzio, è riuscito a tessere buoni rapporti diplomatici con il duca beneventano Arechi I, e il Papa se ne rallegra, meditando sulla possibilità di instaurare anche egli dei rapporti diplomatici con il ducato longobardo del meridione, soprattutto alla luce del fatto che a quanto sembra Arechi I non è coinvolto negli accordi di pace tra longobardi e bizantini firmati nel 599 tra l’esarca bizantino Callinico e il re Agilulfo e durati fino al 60131, anno in cui abbiamo la notizia di una lettera che Papa Gregorio scrive ad Arechi I, con la quale il pontefice gli chiede legno per costruire la Chiesa di San Pietro e Paolo a Roma32. Questa missiva può essere letta come un tentativo di intavolare rapporti più distesi ed avviare una pacificazione, che poi in effetti avverrà come detto solo nel 603. Ad ogni modo tale lettera certifica il controllo di ampie zone del Sud Italia da parte del Duca di Benevento, a cui il Papa si rapporta come un vero e proprio capo di Stato.

Gregorio al duca Arigi.

La fiducia che riponiamo in voi, carissimo figlio, ci conforta a chiedervi un favore, sicuri che voi non permetterete mai di vederci contristati, soprattutto in un campo in cui l’anima vostra potrà trarre notevoli vantaggi. Vi facciamo quindi sapere che abbiamo bisogno di alcune travi di legno per la chiesa dei SS Pietro e Paolo e che perciò abbiamo ordinato al nostro suddiacono Sabino di tagliarne un buon numero nella regione dei Brutii (odierna Calabria) e di trasportarle fino a mare in un luogo idoneo. E poiché egli ha bisogno di aiuto, rendendo omaggio alla vostra gloria, vi chiediamo con paterno affetto di comandare ai vostri rappresentanti che si trovano in quella zona di invitare gli uomini del luogo ad aiutare Sabino con i loro buoi, in modo tale che con la vostra collaborazione egli possa meglio compiere quello che gli abbiamo ordinato. A lavoro finito vi promettiamo di inviarvi un dono veramente degno di Voi….”33

Possiamo considerare quindi questa missiva come la prova certa che il Ducato di Benevento fosse diventato già con Arechi I un’entità politica protesa non più solo alla conquista ma anche all’amministrazione dei territori e che fosse un elemento separato dal Regno di Pavia, in possesso di un’autonomia di governo che viene appunto riconosciuta dal Papa.

In sostanza Papa Gregorio applica con Arechi I la stessa strategia diplomatica che aveva avviato con successo nei confronti del duca di Spoleto Airulfo, il quale aveva assediato Roma per diversi mesi ma alla fine si era accontentato di un pagamento di un tributo da parte del Papa in persona, il quale per essere “sceso a patti” coi longobardi dovrà poi difendersi dalle accuse bizantine di “tradimento”. A tal proposito Gregorio Magno si lamenterà del fatto che i bizantini avessero lasciato soli tutti i cristiani e che ormai bisognava avere più paura dei bizantini che con le rapine e la corruzione “ci consumano lentamente”, che non dei longobardi i quai invece “ci uccidono” però lo fanno alla luce del sole. Il suo obiettivo, infatti, era quello di pacificare la penisola e visto che non era possibile cacciare tutti i longobardi perchè i bizantini non sembravano minimamente interessati a farlo, allora il Papa preferisce riconoscere i longobardi come interlocutori politici a tutti gli effetti, per ottenere da loro la pacificazione dell’Italia.

Occorre ricordare a tal proposito che l’accordo di pace tra Papa Gregorio e Ariulfo di Spoleto non venne riconosciuto come tale dall’esarca di Ravenna, il quale subito dopo si lanciò alla riconquista di alcune città appena conquistate da Ariulfo, scatenando in tal modo la reazione di Re Agilulfo che invade il cosiddetto “corridoio romano” con l’esercito nazionale, conquista Perugia e assedia Roma. Ancora una volta, quindi, il Papa deve provvedere a sue spese alla difesa della città e con la promessa di un tributo annuale, riesce a convincere il re a levare l’assedio, consegnandosi subito 5 mila libbre d’oro. Anche questa volta il suo operato teso alla pacificazione e alla protezione dei romani venne vista dai bizantini come un atto di cedimento al nemico, per cui il Papa dovette difendersi dalle accuse scrivendo all’imperatore Maurizio in persona e ricordandogli che negli anni precedenti i bizantini non avevano mai protetto Roma e che Ariulfo era così aggressivo perchè voleva che due suoi protetti, i quali avevano militato con i bizantini fossero pagati per le loro prestazioni militari nell’esercito imperiale. Addirittura il Papa afferma che il duca longobardo sarebbe disposto a prestare servizio per conto dei bizantini se questi mantenessero i patti e pagassero le milizie mercenarie.

Nella lettera, ad ogni modo, il Papa riconosce che Arechi I ha dei suoi “rappresentanti” che si trovano in Calabria, facendo riferimento quindi a uomini di governo e non a dei soldati o comunque ad elementi esclusivamente militari. Il fatto che quindi il ducato avesse dei propri rappresentati amministrativi nelle varie regioni del meridione, e che questi fossero riconosciuti come tali anche dal Papa, testimonia che con Arechi I si realizza la costruzione dello Stato beneventano, cosa che non era accaduta con Zottone, il quale come detto, era invece il rappresentante di elementi militari non interessati all’amministrazione dei territori ma al loro saccheggio.

Arechi I, infatti, governerà 50 anni si adopererà per dotare il Ducato di un’amministrazione ben organizzata, mediante la figura dei Gastaldi, e di confini sicuri, mediante la fortificazione di siti strategici che servivano da avamposti anti-bizantini, contribuendo fortemente al consolidamento del Ducato beneventano come entità politica autonoma e indipendente dal Regno di Pavia anche se ad esso legato da comunanza ideologica, dato che i longobardi beneventani si sentiranno sempre parte delle Gentis Langobardorum, anche e soprattutto dopo la fine del regno nel 774, quando il Duca Arechi II di fronte alla proclamazione di Carlo Magno come Re dei Longobardi, si definisce Principe dei Longobardi, promulga Leggi e conia moneta, riuscendo a salvare la gens langobardorum dalla scomparsa e preservandola per altri tre secoli.

La figura del Gastaldo compare anche nella Langobardia Maior, per cui non è certo un’invenzione beneventana, ma qui i gastaldi sono nominati dal Duca stesso e non dal Re, come invece nel settentrione longobardo, dove la nomina dei gastaldi, che come accennato avevano funzioni principalmente amministrative e finanziarie, serviva alla Corona per controbilanciare il potere e l’autonomia dei duchi e rafforzare il potere centrale. Dal punto di vista amministrativo il Ducato di Benevento è diviso in judicariae, ovvero distretti territoriali che più tardi verranno chiamati appunto “gastaldati”, indicando l’importanza e la diffusione di tale figura nell’organizzazione ducale beneventana34. Abbiamo infatti anche notizie di gastaldi nominati come ufficiali della Corte e di gastaldi impegnati in azioni diplomatiche oltre confine, come nel caso di Gualtari sotto Arechi II, a cui si deve la traslazione delle reliquie di Sant’Eliano35 (evento a cui è dedicata l’annuale rievocazione storica cittadina organizzata dall’associazione culturale Benevento Longobarda). I Gastaldi amministravano i territori servendosi di loro sottoposti che vengono definiti sculdasci e actionarii, sempre di nomina ducale36 (nel regno di Pavia, invece, sono di nomina regia, e sono da considerarsi infatti “funzionari del re”). I primi sono capi locali, una sorta di evoluzione statica del capo-Fara nel periodo delle migrazioni, mentre i secondi sembrano essere gli amministratori delle singole unità produttive disseminate nei contadi meridionali. Accanto ai gastaldi, il Duca nomina i Conti, che hanno una sorta di componente militare in più che lo differenziano dal gastaldo, comparendo più spesso all’interno della Corte beneventana e facenti parte, evidentemente, del Comitatus militare, o della sua evoluzione, che fin dalla fondazione del Ducato si presenta come una sorta di esecutivo di governo con a capo indiscusso il Duca37. Ad ogni modo le figure dell’amministrazione si cristallizzeranno con il tempo, per cui il loro ruolo sarà chiaro più in avanti, quando la loro esistenza verrà certificata nelle leggi longobarde, a partire dall’Editto di Rotari.

Occorre comunque ricordare che, dopo la morte di Papa Gregorio, anche se la situazione sembra essersi pacificata, si registra un secondo assedio longobardo alla città di Napoli: nel 616 tale Giovanni di Compsa, definito “signore della città”, ma più probabilmente Gastaldo o Conte dell’attuale Conza della Campania, attaccò e conquistò il ducato bizantino di Napoli, riuscendo a resistere fino all’intervento dell’esarca Eleuterio, il quale, partendo da Ravenna, attraversò i territori longobardi senza ostacoli, evidentemente con il consenso del duca beneventano. Arechi I infatti non partecipa alla conquista, anche perchè, come accennato, qualche anno prima si era registrato un avvicinamento diplomatico tra i longobardi meridionali e i bizantini, attraverso la mediazione del Papa. Tra Arechi I e Bisanzio, infatti, venne sancita una tregua nel 603, rinnovata due anni dopo e durata per altri 15 anni circa.

Benevento Longobarda, verso la settima edizione della Contesa Di ...

Anche la presa di Salerno, avvenuta in un periodo compreso tra il 625 e il 640, che non comporta distruzioni alla città, dato che il suo vescovo Gaudioso continua a risiedere in città senza problemi, non ha i tratti della conquista militare ma appare come il frutto di una iniziativa diplomatica38, con ovvie implicazioni commerciali, che solo un’amministrazione strutturata può portare avanti, anche se non è da escludere che i longobardi l’avessero assediata per qualche tempo. E’ importante sottolineare a tal proposito che la città di Salerno nel VII secolo, quando diventa longobarda, non somiglia neanche lontanamente alla opulenta città di cui scrivevano i romani ma è stata devastata da una poderosa serie di alluvioni, l’ultima nel V secolo, che avevano sommerso tutta la parte pianeggiante della città, per cui è probabile che il centro fosse ridotto a semplice Castrum, o a misero villaggio. Che vi fosse un castrum lo deduciamo dai racconti inerenti la guerra greco gotica, visto che anche Salerno venne contesa tra bizantini e goti e venne conquistata da Totila durante le sue operazioni nel sud Italia, per poi tornare bizantina nelle fasi finali della guerra. Il suo ruolo quindi era stato ridotto a mero avamposto militare, essendo la città ancora fortemente danneggiata delle pensanti alluvioni dei decenni precedenti. La situazione della città, quindi, non era per nulla rosea e per questo motivo abbiamo ragione di credere che mai nessun esercito avesse dato battaglia per poterla conquistare, anzi molto probabilmente l’ingresso dei longobardi beneventani a Salerno avvenne in seguito ad un abbandono spontaneo o ad una resa onorevole in seguito ad un assedio non troppo lungo, da parte delle truppe bizantini, le quali non consideravano sensato continuare a difendere una città ancora parzialmente distrutta e che aveva perso la sua funzione di avamposto militare visto che anche Arechi I, come detto prima, aveva firmato un trattato di pace con i bizantini e quindi non vi era più l’imminenza di una guerra.

In ogni caso, che Salerno fosse ridotta a un piccolo castrum, lo deduciamo anche dalla storia successiva, visto che poi, quando Arechi II, un secolo dopo, “ri-fonderà” la città dotandola di mura poderose, in molti storici, tra cui lo stesso Erchemperto, affermano che egli costruì questa città “ex novo”, come se prima non fosse mai esistita.

Arechi I, quindi, conquista Salerno quando essa non è più una Civitas ma è un semplice Castrum e saranno proprio i longobardi e nello specifico il secondo Arechi a determinarne la rinascita e la fioritura economica e culturale, fino a farla diventare una delle capitali longobarde del sud.

La “pace” tra bizantini e longobardi firmata dal secondo duca beneventano doveva necessariamente essere ancora in corso intorno al 636, quando Aione, il figlio di Arechi I, soggiorna a Ravenna mentre si sta recando a Pavia per omaggiare il nuovo re Rotari, da poco eletto, o secondo alcuni storici, tra cui Hirsch, per ricevere dal Re il diritto alla successione dinastica sul trono del ducato beneventano. Il soggiorno di Aione a Ravenna sarà però causa della sua rovina: secondo Paolo Diacono, infatti, i bizantini ne approfittano per somministrare al giovane longobardo una pozione avvelenata che lo renderà debole di mente.

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Rispetto alla figura e alla personalità di Arechi occorre ricordare che negli anni scorsi il grande archeologo Gian Pietro Bognetti ha avanzato una ipotesi secondo la quale Arechi I era un nobile al seguito del friulano Gisulfo II, il quale si era ribellato a suo padre Grasulfo I, che era Duca del Friuli (la cui capitale era l’attuale Cividale). Secondo Bognetti, Arechi I fu indirizzato a Benevento proprio dai bizantini, per destabilizzare il regno longobardo, accostando la sua figura a quella del duca spoletino Ariulfo. Il Bognetti infatti identifica Ariulfo di Spoleto con un tale Ariulfo che nel 582 comandava i contingenti militari longobardi agli ordini dei bizantini coinvolti nelle guerre persiane ed in particolare utilizzati dai bizantini in una battaglia nei pressi del fiume Tigri in Mesopotamia. Bognetti sosteneva che Ariulfo fosse tornato in Italia nell’inverno del 590 e si sarebbe consegnato con le sue truppe al re di Pavia rimanendo a disposizione della corona. Alla morte dei primi duchi di Benevento e Spoleto, che avevano acquisto il potere autonomamente senza nessun coinvolgimento dell’esercito nazionale guidato dal re, il nuovo re Agilulfo coglie la palla al balzo per ottenere un doppio vantaggio: allontanare da Pavia Ariulfo e le sue truppe, le quali dovevano essere fonte di preoccupazione in quanto il pericolo di un colpo di stato e di ripiombare nell’instabilità politica era ancora molto forte, e contemporaneamente ottenere il controllo regio sui due ducati più periferici ovvero Spoleto e Benevento. Che Arechi I e Arilufo fossero amici e compagni d’arme, come sostiene il Bognetti, del resto lo possiamo notare in uno dei primi atti del loro ducato, ovvero l’assedio di Napoli, che viene portato dai due in maniera congiunta. Essendo quindi due guerrieri di professione, sia Arechi I che Ariulfo si lanciano immediatamente in operazioni militari di conquista, senza nessun timore, visto che attaccano le città più fortificate del centro-sud Italia, ovvero Roma e Napoli.

La nomina di Arechi da parte di Agilulfo rientra quindi nel progetto di restaurazione dell’autorità regia dopo i 10 anni di anarchia ducale, ma è molto probabile che il nuovo Duca, una volta insediatosi, abbia dovuto rapportarsi al ”Comitatus” militare pre-esistente ovvero alla comunità di guerrieri che aveva fondato il Ducato e che non può scomparire all’improvviso, né era disposto a fermare le operazioni di espansione e conquista avviate con Zottone. Per questo fin da subito Arechi si dimostra autonomo rispetto a Pavia e non rispetta nemmeno la Pace che la corona ha firmato con i bizantini nel 599. Secondo Bognetti, infatti, l’azione di Arechi I era finalizzata tutta alla destabilizzazione e indebolimento del potere centrale di Pavia: per questo egli non firma e non rispetta tali accordi di pace e anzi continua ad attaccare le città del meridione.

La fortuna di Arechi fu quella di governare per tantissimo tempo, ottenendo nei fatti una autonomia politica che invece i Re di Pavia non vedevano con simpatia. Durante il suo ducato si avvicendarono diversi Re sul trono di Pavia, tra cui Rotari, che emanò il famoso editto, il quale sicuramente ebbe valenza fin da subito anche nel beneventano, anche alla luce del fatto che le leggi di Rotari ricalcavano le antiche tradizioni e consuetudini del popolo longobardo e quindi dovevano essere conosciute oralmente anche dai longobardi meridionali.

Complessivamente, durante il ducato di Arechi I la conquista da parte dei longobardi beneventani si porta a compimento e nei secoli successivi l’estensione territoriale del Ducato non varierà di molto. Quando Arechi I morì, nel 640, il ducato di Benevento si estendeva in quasi tutto il Sud Italia: a nord arrivava a includere il territorio dell’attuale provincia di Chieti, confinando con il ducato longobardo di Spoleto; comprendeva inoltre parte del Lazio meridionale con le città di Aquino, Atina, Fondi e Formia, confinando qui con il ducato bizantino di Roma; includeva gran parte della Campania ad eccezione delle città di Napoli, Gaeta e Amalfi; comprendeva l’intero Molise, l’intera Basilicata e gran parte della Calabria, dove il confine coi bizantini divenne il fiume Crati; in Puglia i longobardi beneventani arrivarono a conquistare la Capitanata ma si arrestarono alle porte del Salento, per cui ai bizantini rimasero le città di Taranto, Brindisi, Gallipoli, Otranto ed Oria.

Nei territori conquistati, Arechi I garantì una certa stabilità politica e poco alla volta ricostruì una forma embrionale di amministrazione pubblica, che divenne relativamente capillare grazie alla figura dei “rappresentanti” del duca beneventano di cui parla Papa Gregorio Magno nella sua lettera ad Arechi I. Questi rappresentanti, definiti Gastaldi o Conti, garantirono alla capitale Benevento la riscossione dei tributi, l’amministrazione della giustizia e il reclutamento militare, anche servendosi a loro volta di ufficiali minori, come gli Sculdasci, i Centenari e altre figure che analizzeremo in seguito. Che in questi territori fosse ritornata la “pace sociale” proprio grazie alle conquiste longobarde è del resto testimoniato sempre da Gregorio Magno, il quale nelle sue lettere ci informa di numerose “fughe” di cittadini residenti nelle città bizantine, i quali cercavano addirittura rifugio presso i longobardi beneventani per sfuggire alle vessazioni, soprattutto economiche, da parte dei romani d’oriente. Tra questi “rifugiati” politici del periodo troviamo non solo “possessores”, ovvero proprietari terrieri, i quali dovevano versare oltre il 50% del proprio reddito come tributo ai bizantini e quindi preferivano la tassazione longobarda, ferma al 33% come nella tradizione della “hospitalis” che i romani concedevano alle popolazioni germaniche stanziate all’interno dei confini dell’Impero, ma anche soldati e perfino ecclesiastici, in un periodo in cui i longobardi non sono ancora cristianizzati. Ci fu pertanto una ulteriore “mescolanza” di elementi longobardi ed elementi tardo-romani, anche alla luce del fatto che la presenza longobarda era principalmente di natura militare, con scarso seguito sociale, ovvero delle popolazione civile di cultura e tradizione chiaramente longobarda. Se infatti Zottone era espressione di un gruppo esclusivamente militare, la venuta di Arechi I non modifica di molto il quadro demografico e culturale, in quanto come abbiamo visto il nuovo duca di origini friulane è sempre di estrazione militare e il suo seguito sociale, che comunque doveva necessariamente esserci, è ancora troppo esiguo per poter realizzare una profonda “longobardizzazione” del sud Italia.

1Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro IV, 18

2 Alboino muore assassinato nel 572 a seguito di una congiura. Clefi venne a sua volta assassinato nel 574

3 E tutt’ora dibattuta l’analisi complessiva di questo periodo. Secondo le teorie di Gasparri fu solo il ceto latifondista romano ad essere colpito dalla violenza, mentre altre compagini come quella ecclesiastica non subirono eccessive vessazioni. In oltre l’area effettivamente colpita fu l’Italia centrale, non ancora nelle mani dei Longobardi, quindi si tenderebbe ad avvalorare la tesi della signoria collettiva gestita dai Duchi più potenti. Stefano Gasparri -Italia longobarda -Editore Laterza.

4 Un opinione simile è riportata da Jurgen Misch, Il regno Longobardo D’Italia -Rete Due.

5 Questa modalità organizzativa la si può ritrovare in tutto il mondo germanico.

6 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, III, 1, 4.8

7 Il Diacono menziona in maniera specifica cinque duchi, molto probabilmente i più forti dell’epoca: Zaban del Ticino, Wllari di Bergamo, Alichis di Brescia, Euin di Trento e Gisulfo di Cividale. Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, II, 32.

8 Paolo Diacono,Storia dei Longobardi,III,9

9 Si tratta del regno merovingio di Austrasia.

10 Accordo stipulato tra Chilperico I (535-584) e Tiberio II Costantino (520-582). Paolo Diacono,Storia dei Longobardi, III, 13

11 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, III, 22

12 Dal Diacono viene menzionato in modo particolare Droctulfo. Paolo Diacono,Storia dei Longobardi, III, 18, 19

13 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, III, 16

14 Un chiaro espediente politico che richiamasse all’Impero Romano Occidentale, in opposizione all’Oriente Bizantino

15Childeperto II (570-595). Il nuovo accordo fu stipulato con l’imperatore bizantino Maurizio (539-602).

16 Sembra che il fallimento fu causato dalla fede ariana di Autari, i Franchi erano Cattolici. Paolo Diacono,Storia dei Longobardi, III, 28

17 Popolo germanico, menzionato per la prima volta dallo storico Giordane intorno al 540.Giunri nell’odierna Baviera fra il 488 e il 526

18 Paolo Diacono,Storia dei Longobardi,III,30

19Paolo Diacono,Storia dei Longobardi,III,31

20 Paolo Diacono,Storia dei Longobardi,III,32

21Paolo Diacono,Storia dei Longobardi,III,34,35

22Paolo Diacono,Storia dei Longobardi,III,35

23Paolo Diacono,Storia dei Longobardi,IV,3,13

24 Le lettere di Gregorio Magno sono radunate in un testo conosciuto come Sancti Gregorii Magni Registri Epistolarum, di seguito SGMRE

25Gregorio Magno, SGMRE, Liber I, Epistola XLIV

26Gregorio Magno, SGMRE, Liber II Epistola XLVI

27Gregorio Magno, SGMRE, Liber I, Epistola XXXI Ad Cunctos Milites Neapolitanos. De obedientia Constantio tribuno exhibenda

28Gregorio Magno, SGMRE, Liber II, Epistola L, Ad Joannem Episcopum. Desolatam ab hostibus trium Tabernarum Ecclesiam unit Velitranae

29Gregorio Magno SGMRE, Liber I, Epistola LXI

30Gregorio Magno, SGMRE, Liber II, Epistola XXXVII

31Hirsch, op. cit. pagina 18 e seguenti

32Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, IV, 19

33Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, IV, 19

34Hirsch, op.cit. Pag 69 e seguenti

35Borgia, Memorie Istoriche della pontificia città di Benevento, Roma, 1769

36Hirsch, op. cit. pag 70 e seguenti

37Si rimanda a Hirsch, op. cit. e a Matarazzo, Civiltà beneventana ai tempi di Arechi II, Benevento, 1989

38Hirsch, op. cit. pag 23