I luoghi

 IL TRESCENE

Quando i longobardi conquistano Benevento, si insediano nella zona oggi definita “Trescene”, le cui stradine curvilinee testimoniano ancora oggi la sua formazione altomedievale. La stessa parola Trescene sarebbe di derivazione germanica.

Quando i longobardi arrivano in città, guidati da Zottone nel 570/571, Benevento è ridotta allo stremo, provata dalla guerra greco-gotica, distrutta da Totila e ridotta di dimensioni e d’importanza dai bizantini, che l’avevano occupata nel 555.

Seguendo il loro protocollo tradizionale, i longobardi si posizionarono nella parte più alta della città, sia per questioni di difesa militare sia perché avevano l’abitudine di tenersi separati dalla popolazione autoctona e di edificare su zone vergini.

I longobardi rinsaldarono la cinta muraria cittadina, facendola diventare la più imponente del Sud Italia ed edificarono diversi edifici, dapprima di natura militare poi anche di natura abitativa, utilizzando i resti delle tombe romane che si trovavano lungo le strade di accesso alla città o che giacevano nelle “cave naturali” urbane, ovvero i monumenti romani, in abbondanza e in stato di degrado.

Questo fenomeno di spoliazione e riutilizzo di elementi architettonici romani è testimoniato dalla composizione del Mastio della Rocca dei Rettori (in particolare la parte esposta verso la attuale Villa Comunale), ma è ben visibile anche nei vicoli del Trescene, all’interno di edifici e mura di contenimento di vecchi giardini nobiliari.

Centro politico e culturale della città dei longobardi era il Sacrum Palatium, la Reggia dei Duchi, la sede della Corte Longobarda, che si trovava in quella che oggi si chiama ancora Piazza Piano di Corte. Oggi il Sacrum Palatium non esiste più, ma probabilmente si trovava al di sotto dell’attuale Palazzo Zamparelli, che domina la parte più alta della piazza.

Attorno alla corte furono erette diverse abitazioni nobiliari, riservate agli Arimanni, i nobili armati di sangue longobardo, tutte con giardino interno, alcuni dei quali sono ancora oggi annessi a ville private. Col tempo i giardini furono soppiantati da edifici più moderni, ma l’atmosfera medievale del quartiere è rimasta intatta.

A partire da Piazza Piano di Corte si sviluppano quattro strade che portano a:

–      Piazza Santa Sofia, dove si erge l’omonima Chiesa, completata nel 762 da Arechi II e divenuta lo scorso anno Patrimonio Mondiale dell’Umanità;

–      Piazza Arechi II, già conosciuta come Piazza Vari, attualmente sede dell’Università degli studi del sannio e del Conservatorio;

–      l’Arco di Traiano, che all’epoca dell’arrivo dei longobardi in città era già inglobato all’interno delle mura difensive e che costituiva la principale porta di accesso alla città;

–      Piazza Federico Torre, di formazione postuma, che si trova alla fine di Via Bartolomeo Camerario, una delle strade principali della città longobarda.

Citiamo il Piano del Centro Storico di Benevento, curato da Sara Rossi e Bruno Zevi

Il rione Trescene costituisce il cuore della città longobarda dove aveva sede il Sacrum Palatium, il complesso della corte. L’origine medievale della trama viaria è ancora perfettamente leggibile nell’andamento curvilineo delle strade, che abbandonano definitivamente lo schema cardo-decumanico tipico delle zone a valle, mentre l’edilizia è di origine settecentesca. Parti di mura circoscrivono ancora il quartiere, inglobate, ovunque, nelle realizzazioni edilizie posteriori, pur conservando una loro pregevole fisionomia. (…)

Stretti vichi, con improvvisi slarghi e punti di confluenza, formano spazi originali e piacevoli, come quelli che s’incontrano lungo Via La vipera, via N.Franco e i vichi I e II Trescene.

Il confronto con le carte antiche mette in evidenza le numerose trasformazioni avvenute nell’ultimo secolo, sebbene si tratti, nel complesso, della parte meglio conservata di tutto il centro storico.

Città Longobarda

 

COMPLESSO MONUMENTALE DI  SANTA SOFIA

Piazza Santa Sofia, già Piazza Matteotti, è sede del complesso monumentale omonimo inserito dall’Unesco nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità insieme ad altri edifici di culto e di potere dei longobardi (Italia Langorbardorum). L’edificio più significativo è la Chiesa, completata tra il 760 e il 762, di cui ricorrono quindi i 1250 anni proprio nel 2012. I lavori furono ultimati da Arechi II, il quale volle dedicare l’edificio di culto non ad un santo in particolare ma alla Santa Sapienza, alla Conoscenza, al Sapere, la cui fiamma in quel periodo era spenta nella maggior parte dell’Europa mediterranea e che Arechi II seppe tener viva. Devoto e saggio, Arechi volle istituire un Monastero per donne, annesso alla Chiesa, e nominò badessa sua sorella. Nell’atto di fondazione del monastero, del 774, Arechi II così giustifica la sua scelta di costruire Santa Sofia:

“La fantasia della mia mente mi ha portato qua e là fino all’origine del mondo; considerando la sorte delle cose passate e di quelle presenti e di quelle future, io, Arechi, sono giunto alla conclusione che tutte le cose terrene che si trovano sotto il sole sono vanità; la loro essenza e la loro origine non sono che tentazione, fatica e morte. Invero, nulla la ricchezza gioverà se non offerta da chi la possiede a Dio. Del resto tutte le cose peggiori sono passeggere, seguono quelle di breve durata. Già il secolo, piangendo, angustiato dalle miserie, fugge via moribondo. Se dalla voce del salvatore ci si dice che il cielo e la terra passano, passano soprattutto i fragili mortali, la cui vita appassisce come un fiore, o viene trascinata come la fiamma esposta controvento. Niente dunque di più utile e niente di più salutifero se non ricordarsi sempre della vita futura, verso la quale tutti si dirigono, e in anticipo offrire i nostri beni a Dio, per riuscire a possedere, tra le anime celesti, sia la vita eterna che il perpetuo riposo, ricchezze vere ed inesauribili. Come dunque lo stesso celeste maestro, predicando ai discepoli, promette: ‘Non raccogliete per voi stessi su questa terra, dove dalla ruggine e dalla tigna viene la distruzione, e dove i ladri scavano e portano via; raccogliete per voi i tesori e tutto il resto per il cielo’. Naturalmente è difficile sdebitarsi e sopportare così grandi patimenti, quanti ne sopportò lui misericordioso verso gli uomini. Benchè fosse Signore della maestà, Re degli Angeli, dal cielo cercò le più umili condizioni terrene, degnandosi di assumere una forma ignobile, si offerse spontaneamente a una morte scellerata, e risorgendo riconquistò la gloria dell’eterno Padre, lasciandoci degli esempi, affinchè ci poniamo in cammino, dirò nella sua stessa orma, senza danno al piede. E così, poiché ha patito per me, ho offerto, desiderando non i miei beni terreni, ma il suo regno; invero io ho goduto degli innumerevoli doni che egli mi offrì perché ne usassi, dei quali mi professo indegno. Però io, che sono una fragile creatura, io, Arechi, eccellente principe, percorrendo i casi della vita terrena e desiderando conquistare i tesori della perenne immortalità, credo peraltro – né vana è la mia speranza – dal cielo ispirato, consacrai un tempio al nome della tua Santa Sofia, a che che sei la Vera Sapienza di Dio, o Cristo, nelle cui adiacenze, dai tuoi doni prelevandone le risorse, offersi costruendo a mie spese un concento di giovani monache.

La Chiesa ha un pianta irregolare, con sei grandi colonne centrali, che formano quindi un esagono, circondate a loro volta da otto pilastri e altre due colonne all’ingresso, che formano quindi un decagono; ma non è con questa chiave interpretativa che possiamo descrivere il gioco di spazi, di ombre e di luci che si crea al suo interno. Anche il perimetro delle pareti è originale: semicircolare nella parte posteriore e con spigolature che ricordano una stella nella parte anteriore.

La Chiesa fu costruita concettualmente come una Sala, ovvero come il luogo collettivo delle famiglie longobarde, che occupava la parte centrale delle abitazioni e che a sua volta richiamava la Tenda, ovvero lo spazio entro il quale il popolo longobardo s’era formato. Proprio la sua origine di popolo-esercito nomade è forse alla base della scelta di edificare una Chiesa così raccolta, nella quale le persone potessero sentirsi una unica entità, accomunate dall’appartenenza di sangue.

La Chiesa era ovviamente affrescata, ma oggi rimangono solo pochi resti (l‘Annuncio a Zaccaria, Zaccaria muto, l’Annunciazione e la visita alla Vergine), posizionati nella parte absidale. La loro caratteristica principale è la vivacità di colori, che ci da un’idea di come dovesse essere l’interno nel periodo di splendore longobardo.

Una visita alla Chiesa è d’obbligo, fermo restando che occorre cercare in lei più le suggestioni emozionali che non le eccezionalità artistiche. Notevoli sono i basamenti delle colonne, le colonne stesse e i capitelli, che, secondo le leggende, i duchi longobardi ricavarono dal Tempio di Iside, o meglio dai resti dei diversi templi dedicati alla dea di cui Benevento era piena tra il I e II secolo d.c.

Annessa alla chiesa vi è il Chiostro, completato nel XII secolo, che ha la particolarità di avere colonne e capitelli tutti diversi, con temi ed elementi davvero molto suggestivi. Bestiari, scene di vita quotidiana, scene religiose, scene di vita campestre, elementi floreali o semplici geometrie si ergono sulle 47 colonne di diversa provenienza e materiale (alabastro, granito, calcare), una delle quali addirittura intrecciata. Senza dubbio l’elemento che caratterizza il Chiostro è la creatività, a cominciare proprio dal numero delle colonne, dispari perché il Chiostro è diviso in quindici quadrifore ed una trifora, che crea un angolo in favore della Chiesa. Al centro del Chiostro vi è un enorme capitello che venne forato ed utilizzato come pozzo, a testimoniare ancora una volta la pratica del riutilizzo degli elementi architettonici romani per l’edificazione militare e nobiliare. Pratica dovuta al fatto che i monumenti romani erano ormai cave urbane, al fascino esercitato da Roma nell’immaginario collettivo dei longobardi (e di tutti i barbari), e anche al fatto che i longobardi non erano in grado di realizzare opere così ben fatte.

Nel corso del XII secolo la Chiesa e il Chiostro subirono importanti trasformazioni: innanzitutto venne costruito un campanile in stile romanico, sulla sinistra della Chiesa (non più esistente, dove adesso c’è il secondo ingresso al chiostro) e al suo ingresso venne posto un protiro, ovvero un portico a quattro colonne, che riportava il bassorilievo che adesso occupa la lunetta posta sul portone della Chiesa.

Verso la fine del XVI secolo il Monastero, che intanto era diventato maschile, venne abbandonato dai monaci benedettini e un secolo più tardi due spaventosi terremoti, uno nel 1688 ed uno nel 1703, fecero crollare il campanile e il protiro, ovvero le aggiunte medievali. La costruzione longobarda rimase in piedi, anche se gravemente danneggiata. Il Vescovo della città, futuro Papa Benedetto XIII, affidò i lavori di restauro a Carlo Buratti, che fece ricostruire il campanile più avanti rispetto alla Chiesa, posizionandolo al limite del perimetro delle mura che all’epoca chiudevano la piazza.

L’architetto del Vescovo Orsini, in realtà, operò molte altre trasformazioni, che furono però cancellate da un restauro del 1951, che ripristinò l’edificio così come l’avevano edificato i longobardi. Buratti aveva stravolto persino la pianta, facendola diventare circolare, aveva edificato due cappelle laterali e aveva reso più “barocche” sia l’abside che la facciata, la quale presenta ancora oggi un aspetto settecentesco, non originario, essendo stata ripristinata dai restauri solo limitatamente. Nell’opera di “modernizzazione” della chiesa, Buratti aveva persino distrutto gli affreschi della scuola di miniatura beneventana che la ricoprivano.

Nel corso dello stesso secolo, con l’arrivo dei francesi e la proclamazione di Talleyrand a Principe di Benevento, le mura vennero abbattute e al centro della piazza venne edificata la fontana. La composizione della piazza non fu l’unica sistemazione che subì la città, che i francesi cercarono di razionalizzare la città in base a criteri completamente diversi da quelli che avevano spinto i longobardi ad edificare il loro quartiere. La creatività dei “barbari” venne sostituita dalla “razionalizzazione”, tanta cara al popolo che stava “illuminando” le civiltà.

Notevoli trasformazioni furono subite dalla piazza anche durante l’epoca postunitaria, quando si voleva fare di Benevento il capoluogo della Regione Sannio e gli amministratori erano proiettati verso una modernizzazione forzata, che consisteva in numerose demolizioni (tra cui la porta della città posta nei pressi della Rocca dei Rettori, la storica Porta Somma) e grandi sbancamenti, che fecero sorgere il Corso Garibaldi, ma anche in grandi costruzioni, come il Teatro Vittorio Emanuele (ora Teatro Comunale), che sostituì un grande giardino che vi si trovava, inglobando mura perimetrali di edifici preesistenti.

Oggi il vecchio monastero è sede del Museo del Sannio, che presenta diverse sezioni: Sala dei Sanniti; Preistoria e Protostoria; Vasi Caudini; il Tempio di Iside; Sala delle Sculture greche; Sculture sannitiche di età romana; Benevento Romana; Benevento Longobarda; sale Medievali; Pinacoteca Moderna; Pinacoteca Contemporanea. Da qualche anno il Museo di è ingrandito, in seguito all’acquisizione da parte della Provincia del palazzo adiacente, che è stato inglobato nell’edificio ed offre una spettacolare vista sulla piazza dal giardino che si affaccia su di essa.

I prezzi di accesso al museo sono variabili. Il Chiostro (imperdibile) è visitabile al costo di 1 euro.

PIAZZA ARECHI II

Palazzo de Simone

Piazza Arechi II, che molti beneventani chiamano ancora “Piazzetta Vari” è di recente formazione. Fino a poco più di dieci anni fa la piazza era inframmezzata dal muro perimetrale del cortile interno di Palazzo De Simone, che oggi domina la piazza. Era quindi grande meno della metà di oggi e per questo veniva chiamata “piazzetta” Venanzio Vari. Sulla piazza si affaccia il grande Palazzo De Simone, costruito nel XVIII secolo, ovvero dopo il terremoto del 1702, insieme a tanti altri edifici che andarono a sostituire le macerie degli edifici medievali crollati. Il Palazzo venne progettato e costruito dall’architetto Raguzzini, napoletano, che diede vita ad un edificio composto da due strutture unite ad angolo retto. Negli anni successivi, l’edificio si ingrandì ed ospitò la sede dei fratelli delle Scuole Cristiane, poi il collegio La Salle, ovvero istituzioni scolastiche di ispirazione cristiana, che poi lasciarono il posto al Conservatorio Statale di musica nel 1988, dopo che il Comune aveva concesso al ministero un usufrutto di 99 ani della struttura. Un altro ramo del grande palazzo venne poi venduto dal Comune all’Università degli Studi del Sannio, che ha posizionato qui il Dipartimento di Studi dei Sistemi Economici e Sociali e la Biblioteca. Una terza parte del palazzo viene utilizzato come Teatro e presenta anche dei giardini a terrazzo, attualmente non accessibili per questioni di sicurezza.

LA ROCCA DEI RETTORI

Antica Porta Somma e Rocca dei Rettori

Il luogo sul quale si erge la Rocca dei Rettori veniva utilizzato come postazione difensiva fin dai tempi dei Sanniti (IV secolo A.C.), trovandosi alla sommità di un altura dalla quale si domina la valle del fiume Sabato, teatro della tante battaglie svoltesi a Benevento nei millenni.

I Sanniti realizzarono un terrapieno, riempiendo letteralmente una necropoli antecedente di qualche secolo ed edificarono terrazzamenti di contenimento verso lo strapiombo che affaccia sul Sabato.

I Romani furono gli unici a non utilizzare il luogo per scopi militari, ma costruirono invece un impianto termale, noto come Castello delle Acque, incanalando nelle Terme il flusso del fiume Sepino mediante un acquedotto di cui è rimasta ancora traccia nei giardini posteriori della Rocca.

Quando i longobardi conquistarono la città, la funzione difensiva dell’altura era stata ristabilita, anche se le fortificazioni lasciavano a desiderare, essendo per altro state distrutte qualche decennio prima durante la guerra greco-gotica. I longobardi rinsaldarono le fortificazioni, alzando le mura e ne aumentarono lo spessore. Anche il Mastio venne rafforzato, utilizzando speso elementi architettonici romani, che i longobardi traevano dai resti accumulati dentro e fuori la città. Tali resti sono ben visibili nella parte del mastio che dà in direzione della villa comunale.

Con i longobardi la Rocca è principalmente il Castello, che si trova poco dentro le mura, a ridosso di Porta Somma, la porta che chiudeva la città, detta così per ovvie questioni di posizionamento.

Già prima di Arechi II, era stato istituito un Monastero benedettino femminile, detto appunto di Santa Maria a Porta Somma; il Duca beneventano lo annesse al cosiddetto Castrum Vetus, ovvero ad un palazzo fortificato, che venne successivamente ampliato, a discapito del terrapieno di origine sannita e dell’acquedotto romano.

Con il passaggio della città allo Stato della Chiesa (1077), l’edificio cadde in stato di semi abbandono, fino a quando, nel 1321, Papa Giovanni XII lo fece restaurare e stabilì che diventasse la dimora dei Rettori pontifici delegati a governare Benevento in nome della Santa Sede. Da cui il nome che ancora oggi conserva di Rocca dei Rettori.

Il progetto di restauro del XIV secolo, che fu elaborato e portato avanti per opera di Gugliemo Balaeto, Rettore della città, non era molto dissimile dalla attuale composizione del monumento. Esso prevedeva infatti un Castrum, ovvero un Mastio, un edificio con scopi prettamente militari, ed un Palatium, ovvero un palazzo fortificato, che avesse invece funzioni abitative e di amministrazione pubblica. La costruzione di Balaeto inglobò la vecchia porta Somma, per cui ne venne costruita un’altra più avanti, che conservò lo stesso nome. Il monastero venne soppresso, le monache trasferite altrove e attorno alla struttura vennero costruiti fossati e ponti levatoi, che resero la Rocca inaccessibile.

Nel corso del XVI secolo l’inaccessibilità dell’edificio spinse i Rettori a trasformarlo in carcere, funzione che conservò fino al 1865, anno in cui chiuse, dopo essere stato per cinque anni uno dei principali carceri dei briganti post-unitari.

L’edificio assunse la forma attuale in seguito ai terremoti del 1688 e 1702 e ai conseguenti restauri voluti dal Vescovo Orsini e portati avanti, anche qui, dall’architetto Buratti. In particolare, osservando la Rocca dal Corso Garibaldi, si può notare la netta differenza tra la struttura militare, ovvero il Mastio, che conserva ancora le caratteristiche longobarde, nelle cui mura sono ancora ben visibili gli elementi architettonici romani riutilizzati, e la struttura civile, ovvero il Palazzo, che presenta elementi settecenteschi inequivocabili, tra cui la piccola torretta con l’orologio, e che ha conservato fino ai nostri giorni la funzione di palazzo pubblico. La Rocca dei Rettori è infatti sede storica della Provincia di Benevento ed ospita il consiglio provinciale, la giunta, gli uffici più importanti e vi si può accedere solo esibendo un documento di riconoscimento. Si spera che in futuro il monumento possa tornare ad essere fruibile per beneventani e turisti.

PIAZZA ROMA E IL CONVITTO NAZIONALE

Piazza Roma con in fondo a destra il Convitto Nazionale

Piazza Roma nacque durante la fase di ristrutturazione degli edifici colpiti dai due terremoti del 1688/1702, quando vennero razionalizzati molti spazi collettivi e molti luoghi della città assunsero la loro attuale conformazione. La Piazza rimase comunque un semplice slargo, fino a quando intorno agli 30 del secolo scorso, vi si impiantarono attività commerciali e café che richiamavano tutti gli strati sociali della cittadinanza. Trasformata in parcheggio nel secondo dopoguerra, è tornata ad essere una delle piazze principali di Benevento da qualche decennio. Recentemente ristrutturata, piazza Roma ospita gli eventi musicali e gastronomici più importanti della città, essendo la piazza più grande di tutto il centro storico.

Tra i palazzi che si affacciano sulla piazza, spicca il Convitto Nazionale, che venne istituito nel 1861 dalla appena nata Provincia di Benevento, ma già da secoli l’edificio aveva ospitato istituzioni collegiali. Nato agli inizi del XVII secolo come palazzo nobiliare della famiglia De Gennaro, viene acquistato dalla Compagnia dei Gesuiti che lo trasformano in monastero e collegio. Il terremoto del 1688 non risparmiò nemmeno il Convitto, che venne ristrutturato a spese di Vincenzo Maria Orsini, cardinale beneventano e futuro Papa Benedetto XIII. Pochi anni dopo, un secondo terremoto, nel 1702 distrusse di nuovo l’edificio, che venne nuovamente ristrutturato. I lavori di restauro finirono nel 1736, portati a conclusione dal cardinale Ferri. Nel 1810 il governatore De Beer, che amministrava la città per conto del principe Talleyrand, vi istituì un Liceo. Nel 1861 la Provincia vi istituì il Convitto, che dal 1865 passò sotto la responsabilità del Ministero della Pubblica Istruzione e venne intitolato al filosofo napoletano Pietro Giannone.

Il Convitto nazionale ha ospitato l’allestimento delle tre edizioni del 2012.

Benevento medioevale

IL RICONOSCIMENTO DELL’UNESCO

Dal 25 giugno 2011 il sito seriale “I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)” è nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Per l’Italia si tratta del 46° sito iscritto nella celebre Lista. Il sito seriale “I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)” comprende le più importanti testimonianze monumentali Longobarde esistenti sul territorio italiano, che si situano dal nord al sud della penisola, laddove si estendevano i domini dei più importanti Ducati Longobardi che formarono quella che possiamo definire la prima “nazione” italiana.

In particolare:

  • • il Tempietto Longobardo a Cividale del Friuli (UD), uno degli edifici più originali ed anche tra i più noti della tarda età longobarda, con i resti del Complesso Episcopale rinnovato da Callisto ed il Museo Archeologico Nazionale, dove sono esposti i preziosi corredi delle necropoli longobarde cividalesi;
  • • il complesso monastico di San Salvatore – Santa Giulia a Brescia, oggi sede del ‘Museo della città’, uno straordinario palinsesto architettonico che ingloba il monastero femminile edificato dal duca Desiderio prima di diventare re, iscritto con l’adiacente complesso archeologico monumentale dove si conservano i maggiori edifici pubblici di età romana del nord Italia;
  • • il castrum di Castelseprio-Torba (VA), che conserva significativi esempi di architettura militare, con la rinomata Chiesa di S. Maria foris portas, ubicata fuori dalle mura nell’area occupata dal borgo altomedievale, sulle cui pareti si conserva uno dei più alti testi pittorici di tutto l’AltoMedioevo;
  • • il Tempietto del Clitunno a Campello (PG), il famoso, piccolo edificio che, per la sua forma classica e i numerosi spolia utilizzati per la sua realizzazione, fin dal Rinascimento è stato oggetto dell’attenzione dei più grandi architetti che ne hanno immortalato l’immagine nei secoli;
  • • la Basilica di S. Salvatore a Spoleto (PG), un edificio eccezionale per il linguaggio romano classico con cui fu concepito, che ancora conserva all’esterno ed all’interno significativi frammenti di decorazione architettonica antichi ed elementi decorativi abilmente scolpiti dai lapicidi medievali;
  • • la Chiesa di Santa Sofia a Benevento – una delle strutture longobarde più complesse e meglio conservate dell’epoca, che sulle pareti mostra ancora importanti brani dei cicli pittorici altomedievali, testimonianza più alta delle cd. “pittura beneventana” -, con l’attiguo chiostro che oggi ospita il ‘Museo del Sannio’;
  • • il Santuario Garganico di San Michele a Monte Sant’Angelo (FG), che dal VII secolo, con i Longobardi, divenne il più importante luogo del culto micaelico, influenzando profondamente la diffusione della devozione per San Michele in tutto l’Occidente e divenendo un modello per i centinaia di santuari costruiti nel resto d’Europa, compreso il più famoso Mont-Saint-Michel tra Bretagna e Normandia.

I beni compresi nel sito, frutto di una rigorosa ed accurata selezione, rappresentano, ognuno per la propria tipologia specifica, il modello più significativo o quello più conservato tra le numerose testimonianze diffuse sul territorio nazionale e, nel loro insieme, rispecchiano l’universalità della cultura Longobarda al suo apice. Essi rappresentano quindi la quintessenza del patrimonio artistico ed architettonico delle gentes Langobardorum che, come noto, si espressero in forme monumentali solo dopo il loro stanziamento in Italia, seguito ad un lungo periodo di migrazione che dalla Scandinavia li vide attraversare i paesi del nord-est europeo.

Giunti in Italia i Longobardi assimilarono la tradizione Romana, la spiritualità del Cristianesimo, gli influssi Bizantini, e seppero integrarli con i valori Germanici di cui erano portatori, dando vita tra la fine del VII e l’VIII secolo ad una nuova ed originale cultura.

Come riconosciuto dalla storiografia più recente, i Longobardi si pongono quindi tra i principali protagonisti del complesso periodo di transizione tra l’Antichità ed il Medioevo; essi avviarono quel processo culturale, ereditato poi da Carlo Magno, che trasformò il mondo antico e contribuì alla formazione dell’Europa medievale, influenzando il successivo millennio della storia Occidentale.

Un riconoscimento, quindi, quello dell’UNESCO, che sancisce il portato degli studi contemporanei e mette fine ai concetti di “decadenza”, “fine della civiltà” e “barbarie” che venivano generalmente associati all’età che va dalla caduta dell’Impero Romano alla nascita di quello Carolingio, affermando invece – in una visione oggi particolarmente attuale – l’idea del continuum del processo storico, caratterizzato dalla compenetrazione di civiltà diverse.

L’iscrizione del sito “I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)” è inoltre un riconoscimento all’impegno delle numerosissime istituzioni pubbliche e private che, coinvolte a differenti livelli nella gestione degli stessi beni o dei territori di riferimento, dal 2006 hanno lavorato e lavorano insieme – sulla base dei principi di sussidiarietà e collaborazione sanciti dall’Europa – non solo per il buon esito della candidatura, ma anche per innalzare sempre di più il livello di valorizzazione delle testimonianze Longobarde e la diffusione della loro conoscenza.

Criteri di iscrizione

–        I monumenti Longobardi sono una testimonianza esemplare della sintesi culturale ed artistica che ebbe luogo in Italia dal VI all’VIII secolo tra la tradizione Romana, la spiritualità Cristiana, le influenze bizantine e i valori mutuati dal mondo germanico, preannunciando e favorendo lo sviluppo della cultura e dell’arte carolingia.

–        I luoghi Longobardi del potere esprimono forme artistiche e monumentali nuove e straordinarie, che testimoniano la specificità della cultura Longobarda nell’ambito dell’Europa Altomedievale. dell’alto medioevo in Europa. Nel loro insieme essi costituiscono una serie culturale unica e chiaramente identificabile, i cui molti linguaggi e finalità esprimono il potere delle diverse élites Longobarde.

–        I luoghi dei Longobardi e la loro eredità nelle strutture culturali e spirituali della cristianità medievale europea sono molto rilevanti. Essi hanno potenziato significativamente il movimento monastico e hanno contribuito alla creazione di una meta antesignana dei grandi pellegrinaggi, Monte Sant’Angelo, con la diffusione del culto di San Michele. I Longobardi svolsero inoltre un ruolo determinante nella trasmissione al nascente mondo europeo delle opere classiche di letteratura, tecnica, architettura, scienza, storia e diritto.