GODESCALCO, DODICESIMO DUCA LONGOBARDO DI BENEVENTO
“Ma Gregorio, dopo aver retto il ducato di Benevento per sette anni,fu sottratto alla vita. Dopo la sua morte fu fatto duca Godescalco, che resse i Beneventani per tre anni; egli ebbe per moglie una donna di nome Anna.”1
Alla morte di Gregorio, il trono del ducato beneventano passa a Godescalco, rappresentate dello stesso partito autonomista di cui aveva fatto parte Audelahis.
Il disegno egemonico di Liutprando, come abbiamo visto nei precedenti saggi, era riuscito a mettere in scacco i potenti ducati autonomi, ottenendo il controllo di tutti i domini longobardi. Tuttavia questo disegno era ben lungi dall’essere concluso. Gli attori di questa nuova fase sono vecchi e nuovi, in particolare il duca di Spoleto Transamundo II, che abbiamo lasciato fuggiasco in Roma.
“Passati alcuni anni, Transamundo, che era fuggito a Roma, tornò a Spoleto, uccise Ilderico e di nuovo ebbe la presunzione di ribellarsi al re.”2
Siamo all’inizio di una nuova fase, la seconda potremmo dire, del regno di Liutprando. Se da un lato troviamo nuovamente lo scontro politico contro l’autonomismo ducale, dall’altro vediamo come gli attori politici come Roma e l’impero Bizantino siano più che mai pronti a cambiare schieramento, seguendo ovviamente le proprie ambizioni. Roma aveva subito gravissime perdite territoriale tra il 738 e il 739, in seguito all’assedio della città, causato dalla presenza di Transamundo.3La politica di Gregorio III era volta al mantenimento, non necessariamente sotto le insegna imperiali, del territorio del ducato di Roma; la scelta di ospitare l’esule Transamundo non avvenne certo per pietà cristiana, ma per un attento calcolo politico. D’altra parte il ducato Roma si era notevolmente allontanato da Bisanzio, in seguito del perdurare del conflitto iconoclasta, sopratutto dopo che l’imperatore Leone III fece prigionieri i legati che Papa Gregorio III aveva mandato a Costantinopoli.
L’accordo tra Gregorio III e Transamundo era che, non appena sconfitto Liutprando, il duca di Spoleto avrebbe restituito tutti i territori persi dal Ducato Romano. Con queste premesse, e sopratutto con l’allontanamento di Liutprando, il duca ribelle riuscì a riconquistare Spoleto ed uccidere Ilderico.
In quello stesso momento Godescalco prende il potere a Benevento, e dobbiamo sottolineare come non vi sia traccia di alcuna rivolta contro il nuovo duca e come il suo passaggio sembri essere accettato dalla popolazione di Benevento. Questo però non significa che il passaggio sia avvenuto necessariamente in maniera pacifica. Godescalco apparteneva al ceto burocratico-cortigiano e come abbiamo soprascritto le forze che appoggiarono Audelahis sono le stesse che appoggiarono il nuovo duca, quindi siamo di fronte al riemergere della fazione autonomista, che aveva posizioni apertamente anti-Pavia. Inoltre siamo a conoscenza del legame politico tra Gregorio III e Godescalco, rivelato in una lettera che il pontefice inviò a Carlo Martello con lo scopo di esortare il protettore del regno franco a soccorrerlo contro Liutprando4.
In questa lettera il Papa informava il maestro di palazzo franco che Godescalco era un fedele alleato del papato, così come il duca di Spoleto, i quali non avrebbero concesso a Liutprando nessun sostegno militare in caso di invasione del Ducato romano. In realtà la posizione di Carlo Martello era decisamente delicata: il sovrano franco aveva un debito di riconoscenza verso Liutprando alla luce dell’impiego di contingenti militari longobardi durante le operazioni militari dei franchi per arginare l’avanzata islamica, culminate nella battaglia di Poiters nell 732, ovvero pochi anni prima. Per questo motivo, come era prevedibile, Carlo Martello non acconsentì alla richiesta di aiuto del Papa, per cui Liutprando potè intervenire militarmente senza trovare grossi ostacoli.
La coalizione Roma-Spoleto-Benevento poggiava unicamente sull’interesse dei vari attori che la componevano ad arginare, se non addirittura annientare, il potere di Liutprando. Sicuramente nel caso Beneventano si trattava inequivocabilmente delle aspirazioni autonomiste del ceto dominante di cui abbiamo ampliamente parlato nei precedenti due saggi. Queste coalizioni non erano supportante da legami ideologici o solidamente politici, ma attraversano l’opportunismo delle fazioni che le costituivano e saranno un paradigma del meridione, fino alla completa conquista normanna.
Torniamo ora agli eventi in questione:
“Sentendo tali notizie da Spoleto e da Benevento, il re Liutprando tornò di nuovo con l’esercito a Spoleto. Arrivato nella Pentapoli, mentre si dirigeva da Fano a Fossombrone, gli Spoletini, alleatisi con i Romani, arrecarono gravi danni all’esercito del re nella selva che si trova tra le due città. Il re aveva alla retroguardia il duca Ratchis e suo fratello Astolfo con i Friulani. Gli Spoletini e i Romani piombarono su di loro e ne ferirono alcuni. Ma Ratchis, il fratello e alcuni dei più forti guerrieri sostennero tutto il peso della battaglia e, combattendo con valore, uccisero molti e scamparono di lì sé stessi e i compagni, eccetto quei pochi come, come ho detto, erano stati feriti.”5
L’apertura delle ostilità viene inaugurata dallo stesso re Liutprando: analizzando il testo alla luce delle informazioni che abbiamo, le parole di Paolo Diacono ci aiutano a comprendere meglio ciò che realmente accadde in quel tempo.
Siamo nel 742 e la coalizione Romano-Spoletina-Beneventana si è già rotta.
La mancata restituzione delle città da parte di Transamundo aveva irritato non poco il governo del ducato di Roma, inoltre lo stesso duca di Spoleto aveva incominciando a tessere rapporti ambigui con i Bizantini e ciò dovette irritare ancora di più Gregorio III, che tuttavia non poteva dissociarsi dal suo scomodo alleato essendo egli stesso politicamente isolato. Il 29 Novembre del 741 , alla morte di Gregorio III, sale al soglio pontificio papa Zaccaria6, collaboratore stretto del suo predecessore e abile diplomatico, la sua elezione molto probabilmente è dovuta proprio alla terribile situazione in cui si trova il ducato Romano. Di fatto Zaccaria già aveva espresso molte remore sull’alleanza con Transamundo, tuttavia egli si stacca dallo scomodo alleato solo l’anno seguente, incontrando Liutprando a Terni nella primavera del 742. Liutprando aveva già mobilitato l’esercito e si stava muovendo verso il ducato di Spoleto, egli promette la restituzione delle città al nuovo papa e stipula con lui una fragile alleanza ed in cambio Zaccaria concede delle milizie in sostegno al re dei Longobardi.7
Non sappiamo in che modo arriva la notizia della frattura con Roma a Transamundo, ma sicuramente doveva esserne già informato visto che il duca aveva già provveduto a chiamare in suo aiuto truppe Bizantine provenienti da Ravenna e dai territori ancora in mano all’Impero.8 Quindi i “Romani” di cui parla il Diacono sono in effetti i Bizantini d’Italia.Anche qui va fatta una postilla sul dominio Imperiale. Alla morte di Leone III nel 741 gli successe il figlio Costante V9 il quale era stato associato al trono già nel 720 e di fatto portava da più di vent’anni la corona imperiale. Fervente seguace della politica paterna, nel 742 durante una spedizione contro gli Arabi, subì un attaccò a tradimento da parte del cognato Artavasde, venne sconfitto e costretto alla fuga. Si aprì così l’ennesima crisi dinastica, ma stavolta l’elemento centrale della contesa fu proprio il culto delle immagini, di cui Artavasde si proclamò campione.10
Se l’impero era nuovamente paralizzato, è naturale pensare che le truppe romane alleate di Transamundo siano autoctoni dei territori italici. Altro elemento interessante sono i protagonisti Longobardi della battaglia, ossia i fratelli Friulani Ratchis ed Astolfo. La dinamica della scontro sembra mostrare tutte le caratteristiche di un imboscata, di fatto le truppe di Transamundo non dovevano essere in grado di sovrastare numericamente l’esercito nazionale dei Longobardi, per cui l’attacco a sorpresa nella selva sembrò la strategia migliore. La perizia dei dettagli del Diacono, ci fa supporre che egli abbia utilizzato la vasta memoria orale di natura militare che deve aver raccolto durante la sua giovinezza, trascorsa nel Friuli, e successivamente durante la sua permanenza a Benevento.
“Lì uno dei più gagliardi Spoletini, di nome Berto, si precipitò con le armi in pugno su Ratchis, chiamandolo a gran voce per nome. Ma Ratchis, veloce, lo colpì e lo gettò da cavallo. Gli altri volevano ucciderlo, ma egli, con la sua abituale pietà, gli permise di fuggire e quello, strisciando sulle mani e sui piedi, entrò nel folto del bosco e scappò. Astolfo invece venne attaccato alle spalle su di un ponte da due Spoletini fortissimi: uno lo gettò di sotto, colpendolo con il rovescio della lancia; l’altro, dopo essersi rapidamente girato, lo uccise e precipitò dietro al compagno:”11
Non abbiamo motivi per mettere completamente in dubbio gli avvenimenti di cui ci rende partecipi il Diacono. Tuttavia dobbiamo, con reverenziale sospetto, indicare come i due protagonisti Ratchis ed Astolfo, saranno successivamente re e siano appartenenti al ducato del Friuli e perciò conterranei dello stesso cronista. Ciò nonostante l’aneddoto rimane avvincente ed emozionante, oltre a riconsegnare la abilità guerresche dei Longobardi e le loro tecniche di combattimento, qui in particolare l’uso della lancia e l’abilità di disarcionare i cavalieri. Inoltre viene riproposto anche il duello simbolico tra gli eroi che si sfidano sul campo, un richiamo alla cultura ancestrale dei Longobardi ed una dimensione più classica della narrazione.
“Ma Liutprando, arrivato a Spoleto, espulse Transamundo dal ducato e lo obbligò a farsi chierico. Al suo posto istituì duca suo nipote Agiprando.”12
La successione degli eventi ci porta a pensare che la strategia di Transamundo doveva essere quella di accerchiare il re. Liutprando aveva di proposito lasciato la componente più forte del suo esercito, ovvero quella Friulana, nelle retrovie per sostenere l’urto del nemico, mentre lui si dirigeva rapidamente a Spoleto. Ratchis ed Astolfo bloccarono la manovra di accerchiamento del nemico mentre il loro re riuscì nell’impresa di sconfiggere Transamundo e impossessarsi del ducato. L’atto di divenire chierico, non va interpretato troppo come un gesto di pietà cristiana. Al contrario esso racchiude l’essenza politica della volontà regia e allo stesso tempo crea una dimensione di “salvezza” in cui il ceto dominante può rifugiarsi. Liutprando è cattolicissimo, probabilmente il più cattolico di tutti i re Longobardi di Pavia, ogni suo gesto è scandito da questo paradigma. Ovviamente la dottrina cattolica dell’VIII secolo era estremamente diversa da quella contemporanea e anche il papato era in via di formazione e costituzione, tuttavia tale dottrina inquadrava nelle figure istituzionali dei diretti rimandi all’ordine celeste, anche se non necessariamente investite direttamente da un mandato celeste, come nel caso dell’imperatore Bizantino. Anzichè uccidere il proprio avversario ed inimicarsi ancora di più il ceto dominante, Liutprando obbligava il suo avversario a cedere ogni dominio temporale e rintanarsi nell’esilio dorato della chierica, così da ricercare in Dio il perdono dei suoi crimini in terra. Un accordo non scritto che accontentava tutti, i vinti e i vincitori.
Che ripercussioni ebbero questi eventi nel ducato di Benevento?
“Mentre poi si dirigeva rapidamente su Benevento, Godescalco, saputo del suo arrivo, tentò di salire su una nave e di fuggire in Grecia. Ma quando ebbe imbarcato la moglie e tutta la sua roba e fece infine per salire lui stesso, fu raggiunto dei Beneventani fedeli a Gisulfo e fu ucciso. Sua moglie però raggiunse Costantinopoli con tutto quello che aveva.”13
La sconfitta di Transamundo mise fine a qualsiasi tentativo di opposizione nei confronti di Liutprando. La vicenda di Godescalco sembra un po’ troppo frettolosa ed effettivamente noi non sappiamo quali fosse in realtà i suoi piani, anche se la sua fuga in Grecia sembra tracciare una serie di legami che egli aveva con i Bizantini. Allo stesso tempo sembra che tutti gli attori avessero scommesso sulla sconfitta di Liutprando e la sua tempestiva azione li abbia colti completamente di sorpresa. Ciò non è da escludere, anche se si inserisce in un quadro narrativo completamente a favore del cattolicissimo e pio re di Pavia. Non sappiamo effettivamente quanto e come fossero giunte le notizie, probabilmente la fazione legittimista beneventana non aveva mai cessato di avere canali segreti con la corte di Pavia e di fatto essa interviene prontamente quando ormai Liutprando era vicino, nell’uccidere Godescalco. La durezza dello scontro tra la fazione burocratico-cortigiana e la fazione legittimista, ci viene presentata nel giudicato di Arechi II dell’estate del 766. Da esso apprendiamo che Godescalco aveva donato numerosi beni al monastero di Santa Maria in Isernia, nel quale si era ritirata sua moglia Anna, poi fuggita con il marito. Divenuto duca a sua volta, Gisulfo II confiscò questi beni, passati bel frattempo al monastero di S.Vincenzo al Volturno, e li distribuì ai suoi fedeli insieme a tutte le proprietà di Godescalco. 14
Questo non è del resto l’unico atto pubblico del duca Godescalco, sul quale non abbiamo notizie dirette, anche se, a riguardo del compito che egli svolgesse prima di essere eletto duca dall’assemblea dei beneventani, possiamo supporre che fosse anche lui un “referendarius” ovvero la persona che aveva il compito di dettare gli atti pubblici ai notai. Come sappiamo15, infatti, durante il ducato di Godescalco la carica di referendarius non è ricoperta da nessuno, caso più unico che raro, per cui siamo orientati a credere che anche Godescalco, come già precedentemente Audelais, prima di essere eletto duca dall’assemblea beneventana, fosse il referendarius della corte, da cui ne consegue che tale carica doveva essere la più prestigiosa all’interno della complessa corte beneventana.
In un atto del marzo 740 il neoduca Godescalco concede ad Audfrid, figlio del defunto tesoriere Orso, il “puer” ducale Orso con la moglie, i suoi figlie e le sue figlie, il quale era andato a vivere in una località chiamata Fenilia, che si trovava nelle terre di Audfrid, situate nella “subactio” del suo gastaldo Warnefrid nell’Actus di Siponto. Il documento, del resto, è stato vergato nel Palazzo di Siponto, che doveva essere inteso come una sorta di sede periferica del potere ducale. Come detto nei precedenti saggi, infatti, un documento per essere valido doveva essere redatto all’interno del Sacrum Palatium di Benevento o negli altri Palatii situati nel territorio del Ducato. Ancora una volta capiamo come il Ducato di Benevento, per via della sua enorme estensione, era diviso in circoscrizioni territoriali, qui chiamati “Acti”, che erano a loro volta suddivise in circoscrizioni più piccole, definite appunto “Subacti”. A governare queste circoscrizioni ci sono gli “actores” o “actionarii”: gastaldi, sculdasci, decani, a seconda della grandezza e della natura del possedimento. Il “puer” Orso non era altro che un conduttore dei possedimenti fondiari del duca beneventano, che però emigra nel territorio di Siponto, andando a vivere in uno dei possedimenti privati del figlio del tesoriere della corte beneventana, per cui egli viene donato al possessore di tali fondi per poterlo utilizzare nella produzione agricola, insieme alla sua numerosa famiglia. Ancora una volta comprendiamo come i beneventani che operavano all’interno della corte ricoprissero ruoli di primaria importanza nel sistema di governo del ducato, sia perchè svolgevano funzioni strategiche sia perchè erano a loro volta possessori di numerosi fondi sparsi nel vasto ducato.
In un giudicato del febbraio 742, Godescalco, che si proclama “sommo duca delle genti longobarde”, risolve una controversia giudiziaria nel “Gualdo Noceto”, in un luogo chiamato Ualneo, che era sorta tra alcuni massari e il venerabile Deusdedit, abate del Monastero di San Giovanni, circa alcuni possedimenti in località Sapione. Il Gualdo, come scritto nel saggio precedente, era un possedimento fondiario del duca beneventano, di solito molto ampio, che comprendeva ampi boschi e piccoli centri abitati dediti alla produzione agricola, all’allevamento o ad attività estrattive di diversa natura. In questo caso la controversia vede l’abate del monastero di San Giovanni opporsi ad un gran numero di lavoratori agricoli, ovvero Ringo con i suoi partionarii, Reparatus con i suoi fratelli (germanos suos), Leo con i suoi fratelli e Rodo con i suoi fratelli (fratres): si tratta di persone che appartenevano Wadulf e Rodecauso, i quali sono chiamati “nostri signori” dal duca, e che dovevano aver liberato un così gran numero di servi della terra non solo per questioni “morali” ma soprattutto per questioni economiche. Trattandosi di un territorio ubicato all’interno di un Gualdo, è molto probabile che esso fosse poco produttivo e quindi scarsamente remunerativo per i proprietari terrieri, ovvero Wandulf e Rodecauso, i quali, essendo i proprietari di queste persone devono provvedere al loro sostentamento. Liberandoli, quindi, i proprietari si liberano dei costi di mantenimento delle loro famiglie numerose e se queste rimangono a lavorare negli stessi terreni, da loro adesso i proprietari possono esigere un fitto per la terra coltivata, riuscendo in tal modo a trasformare in piccolo guadagno quella che era una spesa notevole. Nel caso specifico, però, a detta dei lavoratori, i due signori gli hanno concesso anche dei casali e l’usufrutto dei pascoli per poter vivere dignitosamente e in autonomia, mentre, viceversa, l’abate rivendica il lascito alla sua comunità dei possedimenti in questione da parte del defunto duca Romualdo II, donazione per la quale egli può esibire una “cartula”, ovvero una carta scritta. A quel punto Godescalco invita i lavoratori del gualdo ad esibire a loro volta una cartula che attesti la loro proprietà dei casali e delle pertinenze in questione, ma vista la loro incapacità a mostrare al duca una prova scritta che dimostri la veridicità delle proprie affermazioni, alla fine l’abate viene ritenuto l’unico proprietario dei possedimenti oggetto della controversia. Sebbene la “causa” sia stata svolta e risolta nel gualdo di Noceto, di fronte ai contendenti, l’atto formale che stabilisce l’abate Deudesdit come vincitore della controversia, verrà redatto nel palazzo di Benevento, sempre per garantire “sacralità” all’atto in questione.
Durante il ducato di Godescalco, la monetazione beneventana prosegue l’imitazione delle monete bizantine, ed infatti sotto di lui vengono coniati solidi e tremissi che copiano le monete dell’imperatore Leone III, con il busto dell’imperatore sul recto e la croce su di un trono con quattro scalini sul verso.
1 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 56
2 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 55
3 S.Gasparri , I Duchi Longobardi, p 78
4 Codex Carolinus,2,pp477-479
5 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 56, vv 4-15
6 Zaccaria, nato a Santa Severina nel 679 e morto a Roma il 15 marzo del 752
7 S.Gasparri , I Duchi Longobardi, p 78
8 Queste notizie vengono riportate nel Liber Pontificalis, Libro I, pp 426-427
9 Costantino V della dinastia Siriaca, governò dal 741 al 775
10 G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Einauidi, p 151
11 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 56, vv 15-24
12Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 57
13Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 57, vv 3-9
14 Chron. Volt. Cit., I ,69 ,pp 321-324
15Vedi Codice diplomatico longobardo a cura di Shiaparelli e Bruhl