ROMUALDO II, NONO DUCA DI BENEVENTO

Romualdo II, nono Duca di Benevento

di Alessio Fragnito e Vincenzo Antonio Grella, soci di Benevento Longobarda

“Morto Gisulfo, duca di Benevento, assunse il governo del popolo dei Sanniti suo figlio Romualdo.”1

Siamo nel 706 d.c., mantenendo intatta la linea dinastica dei Gausi, Romualdo II prendeva il trono di Benevento, acclamato dalla popolazione in armi. L’elezione di Romualdo avviene negli stessi anni della morte di sua nonna Teuderada, ma ormai i longobardi beneventani hanno fatto propria la prassi di finanziare luoghi di culto cattolici, per cui questa continuerà negli anni. Quando salì al trono ducale, Romualdo II era ancora abbastanza giovane, e non aveva ancora preso moglie. Negli anni iniziali del suo ducato la situazione politica nazionale è ancora in una fase delicata, che verrà risolta definitivamente solo nel 712 con l’elezione a Re di Liutprando. Da quel momento il ducato di Romualdo verrà inserito all’interno di un progetto politico di ampio respiro, per cui l’autonomia beneventana subirà una forte contrazione, a vantaggio di un rafforzamento del potere centrale incarnato dal nuovo re Liutprando, il primo sovrano che non era collegato in nessun modo alla famosa “dinastia bavarese”. La prima azione politica di Liutprando volta a contenere l’autonomia beneventana fu quella di dare in sposa al duca beneventano una sua nipote, Gumperga, figlia della sorella del re, Aurona. Molto probabilmente proprio nell’occasione del matrimonio, il re Liutprando pretese ed ottenne dal duca di Benevento un formale atto di sottomissione, al fine di ristabilire ufficialmente l’autorità regia su tutti i possedimenti longobardi d’Italia e per unire il potente duca meridionale alla sua iniziativa politica.

Questo atto di sottomissione formale non era visto di buon occhio da parte della popolazione beneventana. Era infatti la prima volta che il Re di Pavia chiedeva al Duca di Benevento di sottomettersi a lui in maniera ufficiale e formale e questo ci fa capire che, appunto, Benevento doveva godere di grande autonomia politica, altrimenti la richiesta di Liutprando non avrebbe avuto ragione di essere. In ogni caso la sottomissione di Benevento è indispensabile per il sovrano pavese al fine della realizzazione del suo progetto di unificazione nazionale, per cui la limitazione dell’autonomia beneventana è sicuramente uno dei più significativi atti politici del nuovo Re.

Occorre considerare, infatti, che negli anni precedenti, l’unico ducato longobardo a vivere una intensa fase di espansione territoriale in Italia è proprio il Ducato di Benevento, governato da una dinastia di tutto rispetto, anche dal punto di vista del lignaggio, per cui è probabile che anche questo matrimonio, come quelli precedenti, sia stato combinato dal Re nel tentativo di rinsaldare una alleanza politica e militare con Benevento. Ricordiamoci che erano pochissimi i duchi longobardi a cui venivano dati in sposa parenti dirette del Re, anzi non abbiamo quasi nessun caso simile. Abbiamo visto che la pratica del matrimonio a scopo politico era molto diffusa, e serviva ai Re per allearsi con altri Re, come nel caso dei matrimoni tra longobardi e bavaresi: nessun Re dava in sposa una sua parente a qualcuno che non fosse visto come “potente” e di cui non volesse assicurarsi l’amicizia, ovvero una alleanza militare di tutto rispetto. Eppure, come vedremo, questo matrimonio non basterà a Liutprando per annullare del tutto l’autonomia politica dei beneventani, perchè quell’autonomia che contraddistingueva il Ducato di Benevento era rivendicata apertamente dall’assemblea delle lance, da cui derivava la legittimità del Duca stesso a governare. Tutti i duchi, sebbene scelti per succcesione dinastica, devono comunque essere eletti dall’assemblea.

A dire il vero la data esatta del matrimonio tra Romualdo II e la nipote del re Gumperga, viene da molti storici indicata nel 729, in seguito agli eventi che ci accingiamo a descrivere, ma questa data non collima con un calcolo degli anni. Romualdo II, infatti, morirà nel 731, quindi soltanto due anni dopo il 729, ma soprattutto, come sappiamo, egli si risposò una seconda volta, con Ranigunda, figlia di Gaidolado, duca di Brescia, fedelissimo di Liutprando.

Dal matrimonio con Gumperga nacque Gisulfo, il quale alla morte del padre nel 731 era ancora in tenera età, ma che poi diventerà duca di Benevento nel 742, quando avrà raggiunto l’età giusta per governare, che non poteva essere sotto i 18 anni visto che proprio in quegli anni lo stesso Re Liutprando con una legge innalza la maggiore età da 12 a 18 anni, ciò significa che Gisulfo doveva essere nato almeno nel 724, se non prima, e che quindi il matrimonio con Gumperga doveva essersi celebrato almeno nel 723, ma è molto più probabile che tale matrimonio, avendo una funzione prettamente politica, sia stato ideato dal Re Liutprando nei suoi primi anni di governo, dato che era finalizzato alla riduzione dell’autonomia dei ducati periferici, indispensabile per realizzare il progetto di “unificazione territoriale” portato avanti da Liutprando, che si avvia militarmente nel 717 con la distruzione di Classe e l’assedio di Ravenna. Per questo siamo orientati a dissentire sulla data del 729 e ad indicare una data imprecisata compresa tra il 712 (elezione di Liutprando) e il 717 (assedio di Ravenna da parte di Liutprando) per collocare nel tempo il matrimonio tra Romualdo II e Gumperga.

Per comprendere a pieno il valore storico del ducato di Romualdo II dobbiamo però inquadrarlo all’interno della situazione politica e sociale dell’Italia e in generale del bacino del mediterraneo, anche alla luce del fatto che ormai il Ducato di Benevento era divenuta un’entità politica di grande peso nel contesto internazionale.

La società Longobarda dell’VIII secolo ci compare molto cambiata e anche le fonti a nostra disposizione divennero più numerose e più chiare. Sostanzialmente possiamo dire che in questo secolo il Regno Longobardo d’Italia avrebbe acquistato una struttura, benchè complessa, più solida e stabile anche per il rafforzamento del potere regio. Tuttavia, nonostante la ricchezza delle fonti e dei documenti, siamo ancora lontani dal poter avere delle certezze e dobbiamo ancora affidarci a ipotesi e congetture, frutto dell’analisi delle leggi e dei diplomi. Ciononostante il quadro nel suo completo può essere considerato chiaro, ma non esaustivo.2

Come abbiamo visto la conclusione del lungo conflitto tra ariani e cattolici, non aveva affatto esaurito le spinte autonomistiche del ceto ducale. Benché da un punto di vista legislativo i poteri dei duchi sembrerebbero essere stati equiparati a quelli dei gastaldi, i primi tanto che anche a questi ultimi furono concesse delle prerogative militari. La nascita del gastaldato si inquadrava nella necessità della corte di amministrare un vasto patrimonio privo di una territorialità omogenea. Il potenziamento di queste figure fu voluto , in particolare sotto la stirpe bavarese per contrastare le spinte dei duchi. Questo conflitto latente in realtà non ebbe i risultati sperati, visto che furono degli stessi gastaldi a scatenare conflitti contro la corona, difesa paradossalmente dai duchi fedeli al trono. In oltre non dobbiamo dimenticare che le origini dei gastaldi dovevano essere molto più umili di quelle dei duchi, e benchè essi fossero legati a filo doppio con la corte, la loro fedeltà era legata nello specifico alla figura del sovrano e alla sua capacità accentratrice, più che all’istituzione regia in quanto tale.

In linea di massima Paolo Diacono cerca di essere neutrale, ma è evidente che proprio i duchi siano i principali colpevoli dei mali del regno, sopratutto la loro iniquità e superbia. Queste caratteristiche però non colpiscono i Beneventani. Il ducato meridionale sembra effettivamente lontano, una lontananza che in fin dei conti, tranne l’impresa di Grimoaldo, non aveva mai messo in discussione il regno di Pavia. Questa considerazione probabilmente risiede nel rispetto per il sangue e la stirpe, atteggiamento tipicamente Longobardo di cui Paolo Diacono era un fervente campione. Questa riflessione trova una sua ragion d’essere nell’episodio che sancì una battuta d’arresto nel potere Friulano.

“Morto a Cividale anche Ado che, come abbiamo detto, era stato reggente, assunse il ducato Ferdulfo, originario della Liguria, un uomo infido e superbo, che, per aver voluto procurasi la lode di una vittoria sugli Slavi, arrecò gravi danni a sé e ai Friulani.”3

Di Ferdulfo non sappiamo molto, tranne le informazioni che ci fornisce il Diacono. Non sappiamo come avvenne la sua ascesa al potere ,avvenuto tra la fine del regno di Cuniperto e l’inizio del regno di Ariperto II. Sappiamo che Ferdulfo non era friulano, ma bensì Ligure quindi di fatto non era cresciuto nel confini del ducato. In quel periodo sembrava che regnasse una pace “calda” tra il ducato e le tribù slave sempre irrequiete.

“Egli distribuì doni ad alcuni Slavi, arrecò gravi danni a sé e ai Friulani. Egli distribuì doni ad alcuni Slavi perchè facessero venire un esercito di Slavi nella sua provincia.”4

Un racconto questo che rasenta l’assurdo e il leggendario.

In questa situazione Argait, uno sculdascio longobardo che Ferdulfo aveva ingiustamente offeso con un maligno gioco di parole, qualificandolo, con riferimento al suo nome, “arga”, cioè codardo5, poiché non riusciva ad impedire le scorribande dei ladri di bestiame slavi, esortò il duca ad attaccare gli Slavi nella loro roccaforte: così si sarebbe potuto scoprire chi dei due fosse veramente un vigliacco. Il duca raccolse la sfida e condusse la sua armata alla rovina, poiché dall’alto del colle gli Slavi poterono annientare facilmente gli aggressori longobardi facendo rotolare grosse pietre e usando altri simili mezzi. Paolo afferma che in questa battaglia, in cui anche F. perse la vita, cadde l’intera nobiltà del Friuli. Il nucleo storico di questa leggenda consiste probabilmente in una pesante sconfitta subita dall’armata ducale contro gli Slavi, una disfatta che costò la vita a molti guerrieri longobardi e al loro duca e che verosimilmente fu causata da un grave errore tattico di Ferdulfo. Resta da chiedersi se gli Slavi abbiano attaccato il Friuli lo federo perché convinti che il regno longobardo fosse estremamente indebolito dalle lotte intestine seguite alla morte di re Cuniperto. In questo caso il loro attacco potrebbe essere stato condotto addirittura in accordo con Ansprando, il principale avversario di Ariperto II, che era fuggito in Baviera, e ciò potrebbe spiegare la leggendaria sfida lanciata dai Longobardi agli Slavi ad invadere il Friuli6. Secondo questa ipotesi l’attacco slavo sarebbe stato dunque un attacco contro un Duca che doveva la sua carica ad Ariperto. La sua sconfitta avrebbe quindi pregiudicato anche il prestigio del re che secondo molti longobardi aveva usurpato il trono. Ma tutto ciò, per la mancanza di altre fonti, resta un’ipotesi.

Il friuli collassò come ducato autonomo, il successore di Ferdulfo, Corvolo volle probabilmente riprovare a riprendere la vecchia via, ma qui intervenne Ariperto II che lo fece accecare e deporre, il perchè ci è oscuro ma molto probabilmente fu una manovra di palazzo per stroncare qualsiasi capacità politica del Friuli.

Paolo Diacono non spende parole contro Ariperto II, ultimo discendente della dinastia Bavarese, la dinastia che aveva vinto l’arianesimo e che di fatto aveva messo in atto una fortissima riconfigurazione del regno in chiave “monarchica”, cercando di annullare le spinte autonomiste dei vari ducati. E di fatto la prima fase del regno di Ariperto, salvo le mutilazioni e la repressione dei suoi avversari, che non vengono condannate dal Diacono, si dimostrò pacifico. E nella ultima fase, che guarda caso coincide perfettamente con il ritorno di Ansprando dalla Baviera, che Ariperto II incominciò ad assumere dei comportamenti paranoici e polizieschi, tanto che lo stesso diacono riferisce che “durante il suo regno, la fertilità della terra fu grande, ma i tempi furono barbarici.”7

Insomma secondo questa visione, l’ultimo esponente della dinastia Bavarese, nonostante fosse un golpista, nonostante avesse fatto mutilare i parenti di Ansprando era stato un buon re colpevole solo di essere stato troppo paranoico.

Il racconto di Paolo Diacono prosegue:

Dunque Ansprando, dopo aver trascorso nove anni interi in esilio in Baviera, finalmente nel decimo anno, convinto Teutperto, venne in Italia a capo di un esercito di Bavari e combattè contro Ariperto, con grande strage di uomini da entrambe le parti. Sebbene alla fine fosse la notte a sciogliere la battaglia, è certo tuttavia che i Bavari avevano volto le spalle e che l’esercito di Ariperto era tornato vincitore all’accampamento. Ma quando Ariperto si rifiutò di rimanere al campo e preferì rientrare nella città del Ticino, con questo fatto dette motivo di scoraggiamento ai suoi e di audacia agli avversari. Dopo essere tornato in città, egli però si rese conto che in questo modo aveva offeso il suo esercito; perciò, presa la risoluzione di fuggire in Francia, raccolse del palazzo tutto l’oro che pensò gli potesse essere utile. Ma quando, appesantito dall’oro che pensò gli potesse essere utile, volle attraversare a nuoto il fiume Ticino sprofondò nelle acque e morì affogato. Il suo corpo fu trovato il giorno dopo, composto nel palazzo e poi portato nella basilica del San Salvatore, che il primo Ariperto aveva costruito, e lì fu sepolto.”8

Ma per quale motivo un re vincitore dovrebbe organizzare la propria fuga? La vittoria non dovette essere definitiva, sicuramente i bavari furono i primi ad abbandonare il campo, ma molto probabilmente l’atteggiamento attendista di Ariperto fu usato dai duchi che già lo avevano in odio. Non siamo in grado di tracciare dettagliatamente i numero dell’opposizione contro Ariperto, ma possiamo teorizzare che fosse molto ampia. Tuttavia per quanto odiato potesse essere e per quanto ignobile fosse sembrata la sua fuga, affogato per colpa dell’oro, ciò non toglie che gli venne concessa la sepoltura regale, quasi a volere mettere in maniera ufficiale e sacra la parola fine alla dinastia bavarese. Ariperto non ebbe figli e i suoi nipoti, figli di Gumperto fuggito in Francia, vissero in quel regno e prosperarono, ma di fatto l’esperienza bavarese si poteva considerate conclusa.

Dopo la morte di Ariperto, Ansprando, impadronitosi del regno dei Longobardi, regnò solo tre mesi: uomo sotto ogni aspetto notevolissimo e di una saggezza che pochi posso eguagliare.Vedendo imminente la sua fine, i Longobardi innalzarono al trono suo figlio Liutprando; Ansprando ebbe ancora il tempo di avere la notizia e ne fu molto allietato.”9

Sembrerebbe un perfetto lieto fine epico. Il Tiranno usurpatore morto, a causa della sua cupidigia, e il giovane Liutprando, già salvato per intercessione divina, diviene re innalzato dai Longobardi e perciò assolutamente legittimo. Non sapremo mai se i Longobardi si fossero lasciati sopraffare dal dolore per la fine della dinastia Bavarese, sta di fatto che con Ariperto finì la più longeva stirpe di Pavia, ma l’immediato insediamento di Liutprando del 712 non fu affatto idilliaco come la soprascritta storia potrebbe lasciare intendere.

Il nuovo sovrano dovette affrontare nell’immediato una rivolta di palazzo ordita da un suo consanguineo, Rotari, che verrà ucciso dallo stesso Liutprando; il destino crudele riservato ai quattro figli di Rotari non lasciava dubbi su quale sarebbe stata la sorte di ogni possibile usurpatore. Liutprando sarà effettivamente amato e temuto dal suo popolo, riuscendo ad incarnare quella figura regale in grado di tenere sotto controllo sia l’aristocrazia e sia di guardare al di là dei confini del regno verso l’egemonia su tutta la penisola.

Liutprando, di fede cattolica ma non appartenente alla dinastia bavarese, divenne Re nel 712 a circa 22 anni e governò fino ai 54, per ben 32 anni complessivi, morendo nel 744. Sebbene per i primissimi anni cercò di mantenere la pace con i bizantini, durante tutto il suo lungo governo si sforzò di realizzare l’unificazione territoriale dei possedimenti longobardi in Italia, seriamente deciso ad eliminare definitivamente la presenza dei bizantini nella penisola, a sottrarre territori al Papato per inglobarli nel regno nazionale e a limitare l’autonomia dei duchi, per riportarli sotto un dominio regio centralizzato ed energico. Avviò dei lavori di ristrutturazione della reggia di Pavia per farla diventare il centro propulsore del regno, dotandosi di una cancelleria più articolata delle precedenti e pur essendo “ignorante nelle lettere” come afferma Paolo Diacono, emise anche un insieme di leggi che arricchirono il codice del diritto longobardo. Liutprando fu temuto dalla nobiltà e considerato un uomo audace e coraggioso: Paolo Diacono riporta due episodi in cui il re scampò a delle imboscate riuscendo ad eliminare i suoi avversari in duello.

La situazione di partenza, però, era decisamente ostile ai progetti di Liutprando: le lunghe guerre civili avevano profondamente minato sia le forze militari che economiche del regno, inoltre persisteva sempre una latenze instabilità sociale a cui il nuovo re doveva porre immediatamente rimedi. In questo scenario entrare in guerra sarebbe stato un autentico suicidio, per questo in un primo momento Liutprando perseguì la politica di pacificazione con l’Impero Bizantino e con il Ducato di Roma, tanto da costringere il duca di Spoleto Faroaldo II, a restituire agli imperiali il porto di Classe, conquistato da poco. Fu la prima volta che un re Longobardo impose al Duca di Spoleto, ossia uno dei tre gradi ducati autonomi, la restituzione di una conquista. Non siamo in grado di esplicitare completamente i piani di Liutprando, ma è evidente che egli aveva un duplice scopo; da una lato prepararsi alla guerra e dall’altro imporre il proprio potere regio anche sui ducati che avevano mantenuto da sempre l’autonomia. Sembrava effettivamente che egli volesse continuare la politica Bavarese, anche il matrimonio con Guntrut, figlia di Teutperto duca dei Bavari lasciava intendere ciò, come anche la restituzione della Alpi Cozie10, donazione fatta alla chiese Romana e confiscata da Ariperto II. La verità era che Liutprando stava semplicemente aspettando il momento propizio per agire.

Nello stesso periodo, intanto, l’impero Romano d’oriente era nuovamente piombato in una situazione di crisi. Nel 711 la stirpe di Eraclio, che possiamo considerare a tutti gli effetti la prima stirpe “bizantina”11, fu stroncata nel sangue e nel terrore. Tutto l’impero era scontento dell’atteggiamento repressivo e fiscalmente gravoso che Giustiniano II aveva instaurato una volta tornato al trono, anche lui dopo una decade di esilio, molto similarmente alla vicenda di Ansprando e Liutprando.12 Giustiniano venne chiamato Rinotmeto, “naso tagliato” in quanto aveva subito la mutilazione del naso per divenire inadatto al trono. Eglio aveva trovato un formidabile alleato nel khan bulgaro Tervel13 , al quale concesse oltre al rinnovamento dei tributi anche il titolo di Cesare. La terribile ondata repressiva colpì anche Ravenna che venne saccheggiata dalle stesse truppe bizantine nel 709, gli eminenti fatti prigionieri e portati a Costantinopoli ed uccise, mentre al vescovo vennero cavati gli occhi. Un anno dopo gli abitanti di Ravenna e del circondario si ribellarono contro il l’impero. Nel frattempo a Costantinopoli, l’armeno Bardane Fillipico entrava con una flotta a spodestare il tiranno Giustiniano, che venne ucciso da uno dei suoi ufficiali e l a sua testa mandata in esposizione prima a Roma e poi a Ravenna. Con la fine della dinastia degli eraclidi l’Impero Bizantino ripiegherà sempre di più sulla Grecia e sui balcani, anche a causa della sfolgorante avanzata Araba che privò bisanzio del nord d’Africa e dei territori siriani e palestinesi. La crisi dinastica aperta da Bardane si concluse nel 25 Marzo del 717 quando, dopo numerosi conflitti che non possiamo riportare per intero altrimenti occuperebbero l’intero spazio narrativo, vide salire al potere lo stratega del tema anatolico, Leone che divenne poi Leone III detto l’Isaurico.14

Le continue lotte per il potere ebbero come risultato in Italia il totale sbandamento delle forze militari bizantine e l’inasprimento della pressione fiscale, che portarono ad un sempre maggiore distacco tra gli abitanti e l’autorità imperiale.

In questa situazione, Liutprando decise di passare all’attacco.

In quel tempo il re Liutprando assediò Ravenna e invase e distrusse Classe. Poco prima il patrizio Paolo aveva mandato da Ravenna gente per uccidere il pontefice; ma i Longobardi combatterono per la difesa del papa e, grazie alla resistenza degli Spoletini al ponte Salario e dei Longobardi di Tuscia in altre parti, il piano dei Ravennati fu svelato.”15

Ciò di cui parla il Diacono, avvenne nel 717. Grazie ad un forte lavoro politico di coesione ed anche di intimorimento, Liutprando riuscì elaborare una fortissima offensiva che vide coinvolti tutti i ducati Longobardi e in particolare gli Spoletini e la Tuscia. L’assalto spezzò definitivamente il ponte territoriale tra Ravenna e Roma, lasciando isolati ed incapaci di coordinarsi le rispettive roccaforti bizantine. Dalle ricostruzioni sappiamo che avvenne prima l’attacco a Classe e poi, sfruttando anche l’assedio che Costantinopoli stava subendo da parte degli Arabi, Liutprando si scagliò contro Ravenna.

Contemporaneamente, con un’azione concertata, il duca di Spoleto Faroaldo II occupò Narni.16

Tra il 717 e il 719, Romualdo II, duca di Benevento si lanciò in una spedizione militare contro Cuma, importante possesso dell’Impero in Campania, che portò a una momentanea occupazione longobarda della città. La pronta reazione del duca di Napoli Giovanni17 impedì tuttavia a Romualdo II di mantenere a lungo il controllo della città, che venne ben presto ripresa dalle forze imperiali. Sembra la vittoria fosse stata possibile grazie all’arruolamento delle ultime famiglie gote rimaste nel territorio campano e napoletano.18 Nel frangente il duca beneventano riuscì comunque a ottenere il pagamento a proprio vantaggio di settanta libbre d’oro da parte di papa Gregorio II, a titolo di pacificazione tra Roma e il ducato di Benevento.

Per quanto riguarda l’episodio di Cuma, esso viene citato nell’opera Memorie Istoriche della Città di Fratta Maggiore di Antonio Giordano, scritto nel 1834

I LONGOBARDI negli anni 715 dell’Era volgare occuparono CUMA, che andava compresa nella DUCHEA NAPOLITANA. Tale occupazione dispiacque al PONTEFICE GREGORIO II, tanto che indusse il DUCA di NAPOLI a prender le armi contro dei LONGOBARDI stabiliti in CUMA. Infatti il DUCA di NAPOLI alla testa della sua legione, ed in compagnia di TEOTIMO Suddiacono e Correttore, improvvisamente assalì i LONGOBARDI dentro CUMA, e dopo di averne ucciso 300, non che il di loro CASTALDO, occupò la Città.”

Quest’attacco non viene però riportato dal Diacono ed è assai plausibile che la coordinazione non fosse mai avvenuta tra Liutprando e Romualdo, anzi molto probabilmente l’attacco a Cuma fu antecedente a quello che Liutprando portò contro Ravenna. In particolare, sebbene vi fosse stato l’atto di sottomissione, il ducato di Benevento non poteva astenersi dal proseguire l’espansione territoriale a discapito dei bizantini, dato che la componente militare continuava ad essere il perno centrale del sistema di potere. I rampolli dell’aristocrazia militare beneventana spingevano per la prosecuzione della politica aggressiva che negli anni precedenti aveva portato alla conquista di sempre nuove terre, le quali costituivano la principale forma di ricchezza e quindi erano sempre al centro dell’agenda politica dei governanti beneventani, i quali, come detto più volte dovevano sempre rapportarsi all’assemblea dei guerrieri, dalla quale erano eletti e che era in sostanza l’espressione di questa aristocrazia militare.

Liutprando era riuscito a sedare gli animi riottosi dei ducati limitrofi, ma principalmente perchè in questi si erano verificati degli scossoni che avevano destabilizzato il loro potere. Benevento rimaneva invece salta e provare a forzare la mano in maniera troppo robusta avrebbe portate ad una reazione dei Longobardi meridionali, cosa che Liutprando non poteva permettersi. Mentre il pio re dei Longobardi come abbiamo visto si premuniva di difendere il papa, ovviamente per ampliare il forte divario tra l’impero ed il ducato di Roma, praticamente gestito di fatto dal papa, i Beneventani avevano i loro interessi da portare avanti; per molto tempo sia Liutprando che Romualdo fecero di tutto per non scontrarsi, ma il re longobardo aveva allungato lo sguardo e l’autonomia meridionale non faceva parte della sua visione.

Nonostante l’impero Bizantino avesse trovato finalmente un po’ di stabilità sotto la guida dell’energico Leone III, che riuscì anche a respingere gli arabi da Costantinopoli, stava per esplodere uno dei conflitti religiosi più importanti dell’allora storia del cristianesimo.

Nella chiesa greca il culto delle immagini dei santi si era rafforzato molto negli ultimi secoli, in specie subito dopo il regno di Giustiniano I, ed era divenuto una delle forme principali di espressione della religiosità bizantina19. Dall’altra parte non mancavano correnti tendenzialmente contrarie al culto delle immagini in quanto il cristianesimo, come religione puramente spirituale, non avrebbe dovuto essere troppo legato al culto delle immagini20. Questa opposizione era molto forte nelle zone orientali dell’Impero, tuttavia la vera scintilla fu la nuova vicinanza con il mondo Arabo. Questi ultimi percorrevano in lungo e in largo l’Anatolia e l’Asia minore, portando non solo la spada ma anche tutto il ricchissimo bagaglio cultura della loro cultura, dal Giudaismo al fervente Islam. I primi a prendere seri provvedimenti politici furono gli Omayyadi21, e in contemporanea si formò un partito anticonico in asia minore guidato dal metropolita22 Tommaso di Claudiopoli e il vescovo Constantino di Nacolea, detto più tardi “l’Eresiarca”. Ora lo stesso Leone proveniva dai territori orientali ed era stato a stretto contatto con sia con gli arabi che con il clero anatolico e iconoclasta. Nel 726 l’imperatore si espresse pubblicamente contro il culto delle icone e mise mise in pratica le sue parole, togliendo le immagini di cristo da sopra la Porta Bronzea; egli non era solo influenzato dalla cultura orientale, ma riteneva che fosse dovere dell’imperatore occuparsi del culto, egli si considerava anche gran sacerdote.

I risultati iniziali a Bisanzio non furono certo incoraggianti, ma in Italia ciò produsse una determinante rottura con il papato e un immediato rovesciamento di alleanze e accordi che investirono anche il mondo Longobardo.

In questo tempo a Costantinopoli l’imperatore Leone fece rimuovere le immagini dei santi e le bruciò, ordinando al pontefice romano di fare altrettanto se voleva conserva la grazia imperiale. Ma il papa rifiutò di farlo. Pure l’esercito di Ravenna e della Venezia si oppose unanime a tali ordini e, se il papa non lo avesse impedito, si sarebbero dati un altro imperatore.”23

Il papa in questione fu Gregorio II il quale, pur rifiutando i dettami e le pretese di Leone III non poteva rompere con Bisanzio, responsabile della difesa militare del territorio, sopratutto non con un re come Liutprando. I tentativi di Gregorio di bloccare le rivolte antimperiali che si svilupparono, motivate più per la grave pressione fiscale che per l’iconoclastia, avevano però già minato la capacità organizzativa dei territori imperiali.

Liutprando non esitò ad intervenire nel conflitto e, ostentando il suo cattolicesimo si elevò a difensore del Papa e delle iconografie sacre, mobilitando l’esercito.

Anche il re Liutprando occupò i castelli dell’Emilia, Feroniano e Montebellio, Busset e Persiceto, Bologna e la Pentapoli e Osimo. Allo stesso modo prese Sutri. Ma dopo qualche giorno questa fu di nuovo resa ai Romani.”24

Ovviamente di fronte allo sbando generale del campo bizantino, Liutprando riprese l’offensiva contro i territori Romani. In questo periodo tra il 727 e il 729 avvenne anche la famosa e molto discussa donazione di Sutri.

La donazione di Sutri, che oggi viene vista come la nascita dello Stato della Chiesa, ovvero del “Patrimonio di San Pietro”, la cui esistenza sarà destinata ad influenzare la politica europea fino al XIX secolo, in realtà non voleva essere un atto “definitivo”, ma si trattava in sostanza di una mossa strategica che il Re Liutprando compie consciamente, inserendola nel suo piano complessivo, che in sostanza si traduceva nella volontà di sostituirsi ai bizantini come “difensore del cattolicesimo cristiano”. La realizzazione di questo piano consisteva nell’amplificare il contrasto tra Papa e Impero bizantino fino a farlo deflagrare in guerra aperta, dato che Liutprando era perfettamente a conoscenza delle difficoltà militari bizantine. La cessione di questi territori al Papa e non a Bisanzio era quindi la dimostrazione che i longobardi non erano più “gente detestabilissima” come li aveva descritti Gregorio Magno negli anni dell’invasione dell’Italia, ma erano ormai divenuti “difensori della fede” per cui si ponevano sullo stesso piano dei cristianissimi bizantini, anzi, in una fase di aperto contrasto tra Papato e Impero, Liutprando cerca di avere dal Papa una sorta di “benedizione” alla sua campagna politica e militare volta alla cacciata definitiva dei bizantini dall’Italia, o quanto meno dalle regioni dell’Italia centrale che costituivano un elemento di discontinuità tra i possedimenti longobardi, rendendo molto difficile una reale “unificazione nazionale”.

Le località citate da Paolo Diacono non sembrano essere state prese con la forza, sembra piuttosto che si siano arrese all’avanzata del re di Pavia. Soprattutto dove sono finiti il duca della Tuscia e il duca di Spoleto?

In quegli anni, infatti, Spoleto e Benevento avevano ristretto i loro rapporti per la difese delle rispettive autonomie contro le pretese di Liutprando. Non ci furono scontri aperti ma tuttavia i due Ducati si schierarono con il Papa non prestando aiuto alle forze rege, cercando di costruire una coalizione che permettesse loro di mantenere l’autonomia e di ridimensionare il progetto politico di Liutprando.

In conseguenza dell’accordo, Romualdo II e Transamondo25 non solo si impegnarono a proteggere il papa Gregorio II dalle minacce che gli venivano dall’Impero a causa della posizione tenuta dal pontefice circa il culto delle immagini sacre, ma, allo stesso tempo, fecero fronte comune con lui anche per arginare l’espansionismo di Liutprando verso le regioni dell’Italia centrale e meridionale, a garanzia di tutti e tre i soggetti coinvolti. Tuttavia questa inedita triplice alleanza non riuscì ad ottenere i risultati sperati. Se è pur vero che le forze degli Spoletini e dei Beneventani riuscirono a sconfiggere l’esarca di Ravenna, Paolo non aveva calcolato l’abilità politica di Liutprando.

Il re sparigliò i fronti accordandosi con il nuovo esarca Eutichio26, iconoclasta ed avversario di papa Gregorio che tuttavia non poteva prendere apertamente posizioni contro l’impero. La coalizione contro Liutprando subì un colpo fatale.

Nel 729, Liutprando si portò con un esercito a Spoleto dove ottenne un giuramento di fedeltà e degli ostaggi quale garanzia di subordinazione da parte dei duchi di Spoleto e di Benevento. Il forzato riavvicinamento al regno, molto probabilmente, costrinse Romualdo II, il quale era intanto rimasto vedovo, a prendere in moglie una certa Ranigunda, figlia del duca di Brescia Gaidualdo, che era uno dei più fedeli sostenitori di Liutprando. Ovviamente Romualdo II non poteva dichiarare guerra a Pavia, e, tranne il fantomatico episodio di Grimoaldo, Benevento non si era mai apertamente messa contro la corte in toni di scontro diretto. Oltre tutto la proposta di Liutprando dovette in qualche modo sembrare accettabile anche agli aristocratici, i quali pur detestando a pieno le intromissioni di Pavia e la politica accentratrice di Liutprando, si erano resi conto che la guerra aperta avrebbe nuociuto gravemente al ducato. Come detto, dal matrimonio di primo letto Romualdo ebbe un figlio, Gisulfo, il futuro Gisulfo II. E’ in questo momento che furono gettate le basi delle future lotte intestine che avrebbero minato l’unità del ducato Beneventano.

1 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 39

2 Stefano Gasparri, Italia Longobarda , Editore Laterza, Cap. II, pag 36

3 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 24

4 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI,24, vv 5-7

5 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI,24, vv 15-39

6 M. Brozzi,I Duchi Longobardi del Friuli, in Mem. Storiche Forugiolesi, LII (1972), p. 23

7 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI,35, vv 28-29

8 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI,35

9 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 35, vv 33-38

10 Sezione della catena alpina che interessa l’Italia e la Francia

11Considerazione di Georg Ostrogorsky,Storia dell’impero bizantino, Einaudi p 123

12Giustiniano II regnò dal 685 al 695, venne spodestato da Leonzio, a sua volta rovesciato da Tiberio Apsimaro futuro Tiberio III. Nel 705 riprese il potere con l’aiuto dei Bulgari, fino al 711

13Tervel fu il figlio legittimo di Asparuh fondatore dell’impero Bulgaro. Regno dal 701 al 718

14Di origine Siriaca, Leone fu imperatore dal 717 fino alla morte avvenuta il 18 giugno del 741

15Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 49

16Attualmente comune della provincia di Terni in Umbria

17Fu duca du napoli dal settembre del 711 fino alla morte avvenuta nel 719

18 Chronicon ducum et principum Beneventi, Salerni, et Capuae et ducum Neapolis, secolo X

19Per ulteriori letture, E. Kitzinger, The Cult of Images in the Age defore Iconoclasm, DOP,8,1954,pp 83-160

20G.Lander, The Concept of the Image in the Greek Fathers and Byzantine Iconoclastic Controversy,DOP,7,1953

21Dinastia Araba che governò i domini Islamici dal 661 – 750

22Titolo di alto rango nella chiesa cattolica

23Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 49,vv 6-12

24Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Libro VI, 49,vv 13-15

25Successe al padre Faroaldo II nel 719, si ribello a Liutprando e fu sostituito da Ilderico, nomitato da re

26Esarca in carica dal 728 al 751