LA VIA MICAELICA ATTRAVERSO LE FONTI ALTOMEDIEVALI

LA VIA MICAELICA ATTRAVERSO LE FONTI ALTOMEDIEVALI di Alessio Fragnito, presidente Benevento Longobarda

Il presente articolo vuole essere una introduzione al Convegno che si svolgerà il giorno 20 Agosto 2022 a Molinara (BN), nell’ambito della Rievocazione Storica “I LONGOBARDI SULLA VIA MICAELICA“, organizzata da Benevento Longobarda, che si svolgerà il 20 e il 21 Agosto nel Borgo Storico di Molinara.

Prima di andare ad analizzare la Via Micaelica intesa come itinerario stradale, è necessario approfondire le ragioni culturali che portarono alla nascita di una nuova strada, ovvero di un itinerario esclusivamente religioso, che si andò ad innestare, almeno in parte, sul reticolato di strade consolari romane che erano rimaste in uso anche in seguito al crollo della Parte Occidentale dell’Impero Romano. A differenza di tutti gli altri cammini storici in Italia, la Via Micaelica, oltre ad essere ad uso esclusivo dei pellegrini, è l’unico itinerario medievale che non deriva da una precedente strada romana. La via Micaelica, infatti, nasce in virtù della diffusione del culto di San Michele tra le popolazioni europee durante i primi secoli dell’Alto Medio Evo ed in particolare negli anni della dominazione longobarda in Italia. Nello specifico, la diffusione del culto di San Michele vede protagonisti i Longobardi del Ducato di Benevento, entro i cui confini era situato il Santuario di San Michele Arcangelo sul Monte Gargano, il quale era gestito dal Vescovo di Benevento.

Come accennato, le strade romane erano state costruite principalmente per motivi militari, e di fatto furono sempre gli eserciti ad utilizzarle, anche dopo il collasso della Pars Occidentis dell’Impero romano, ma una buona fetta di viaggiatori era costituito dai pellegrini che già all’epoca si recavano presso alcuni particolari santuari che avevano la fama di guarire gli ammalati e realizzare le grazie richieste. La Via Prenestina, ad esempio, conduceva al tempio della Dea Fortuna, che era uno dei santuari taumaturgici più famosi nel Lazio, mentre sulla via Appia si trovava il tempio di Giove Anxur presso Terracina. Quindi già dall’età classica le strade erano solcate non solo dagli eserciti e dai mercanti ma anche dai pellegrini, i quali si recavano presso determinati santuari per un obiettivo molto pratico, ovvero chiedere la guarigione per qualche malattia propria o di qualche familiare oppure chiedere una grazia particolare che solo in quel determinato tempio si aveva la probabilità che venisse esaudita.

Anche il Santuario di San Michele sul Gargano era conosciuto per l’alto potere taumaturgico. Come tutti sanno, infatti, all’interno della Grotta dell’Arcangelo esisteva fino al secolo scorso una fonte d’acqua le cui proprietà benefiche venivano decantate da molti pellegrini. Era quindi il potere taumaturgico del Santo che attraeva i pellegrini, già molti anni prima che nel Sud Italia si insediassero i Longobardi, il cui santo preferito, come tutti sanno, è proprio San Michele. Ma quando il popolo dalle lunghe barbe invase il mezzogiorno d’Italia, ricordiamocelo, tra loro vi erano molti convertiti all’arianesimo e molti altri ancora legati ai culti ancestrali. Fu proprio la figura di San Michele a far convertire i longobardi al cattolicesimo cristiano, per diverse ragioni che cercheremo di approfondire.

Le notizie riguardanti il Santuario di San Michele sul Monte Gargano ci provengono innanzitutto dalla omonima agiografia, intitolata appunto Liber de Apparitione Sancti Michaelis, che parla delle tre famosi apparizioni dell’Arcangelo al Vescovo di Siponto San Lorenzo Maiorano, ma anche da un testo poco conosciuto, intitolato la Vita e le Opere della Beata Artellaide Vergine, dal quale possiamo ricavare alcune informazioni fondamentali.

Il Liber de Apparitione Sancti Michaelis, abbastanza breve, descrive tre apparizioni dell’Arcangelo Michele al vescovo di Siponto Lorenzo Maiorano, vissuto alla fine del V secolo. In particolare la seconda apparizione del Santo al Vescovo avviene la notte prima della battaglia decisiva tra Napoletani e Sipontini, i quali sono aiutati dai Beneventani, che erano loro “vicini”. L’esito della battaglia è favorevole ai Sipontini in quanto miracolosamente una tempesta di sabbia mette in fuga l’esercito assediante, per cui il vescovo e i cittadini si recano alla grotta del santo, sede dell’episodio centrale inerente la prima apparizione, senza però avere il coraggio di entrare, ricevendo sulla sua soglia la terza e ultima apparizione. Anche se il Liber de Apparitione non è per nulla chiaro dal punto di vista cronologico e temporale, in molti hanno individuato nel 492 l’anno di svolgimento di questa battaglia, per cui gli unici a poter assediare i sipontini in quel periodo potevano essere gli Eruli di Odoacre, negli anni in cui si assiste alla fine dell’Impero Romano d’Occidente. Qualche anno prima, infatti, Odoacre aveva detronizzato Romolo Augustolo dal trono imperiale e conquistato Ravenna e probabilmente le sue orde stavano saccheggiando le città meridionali. Eppure il testo parla di una battaglia tra Sipontini e Beneventani da una parte e Napoletani dall’altra: Odoacre non è mai citato.

Ma ad una attenta analisi delle fonti in nostro possesso, realizzata dalla professoressa Ada Campione1, il 492 risulta essere un anno non congruo con il reale svolgimento dei fatti, per cui la battaglia, o meglio l’assedio a cui furono sottoposti i sipontini dovrebbe essersi svolto tra il 541 e il 552, ovvero durante le guerre greco-gotiche. Stando infatti ad una agiografia dedicata a San Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto e primo ed unico destinatario delle apparizioni, la battaglia venne svolta dopo che “la furia dei Goti” tornò a mietere vittime in seguito all’elezione a loro Re di Totila, per cui dopo il 541. L’esercito assediante messo in fuga dalla miracolosa tempesta di sabbia sarebbe quindi quello dei Goti quando questi scesero in Puglia e Campania nella seconda metà del 542, durante l’assedio di Napoli.

In ogni modo il testo parla della battaglia in termini contemporanei all’epoca della sua redazione, ovvero la seconda metà del VII secolo: gli assedianti sono i Napoletani, nemici giurati dei Longobardi beneventani, i quali invece aiutano e supportano i sipontini, presentandosi come loro amici e alleati.

Per questo motivo, Giorgio Otranto2, grande esperto della Storia del Santuario di San Michele sul Gargano, sostiene che furono proprio i Longobardi beneventani ad “emendare” il testo precedente con la descrizione chiara e ben precisa degli alleati dei Sipontini (i Beneventani) e dei loro nemici, ovvero i Napoletani, che erano nemici dei Longobardi beneventani in quanto Bizantini. In pratica i Longobardi di Benevento avrebbero “commissionato” la produzione del testo, o meglio un suo rifacimento, al fine di evidenziare come l’alleanza tra loro e i sipontini fosse di vecchia data e sancita dalla comune fede nel culto di San Michele. Essendo il testo dell’Apparitio stato emendato nel periodo in cui vi era in corso una guerra decennale tra Beneventani e Napoletani, i nemici dei Sipontini sono definiti appunto Napoletani.

Nella Vita e opere della beata Artellaide vergine, invece, si afferma che la giovane vergine, nipote del generale Narsete, vissuta a Benevento durante e dopo le guerre greco-gotiche, quindi nella prima metà del VI secolo, si recò a pregare presso la grotta dell’arcangelo e “post oracionem obtulit de thesauro suo super altare Sancti Michaelis archangeli3”, dando ben 300 solidi aurei alla persona che si prendeva cura della chiesa a lui dedicata, facendo capire che già vi fosse un santuario meta di pellegrinaggi, che poi i Longobardi beneventani amplieranno notevolmente, presentandosi in tal modo come i fondatori del Santuario stesso.

Capiamo quindi che quando i Longobardi si insediano a Benevento nel 571 circa, vi era già da tempo un pellegrinaggio verso la Grotta di San Michele Arcangelo, la quale era originariamente un Mitreo, ed aveva una sorgente d’acqua considerata taumaturgica. Come abbiamo letto nella Agiografia della Beata Artellaide Vergine, i pellegrini lasciavano ingenti offerte, ovvero ex-voto, che venivano consegnati ai custodi del Santuario. Se vi erano molti pellegrini, doveva quindi esistere un vero e proprio tesoro di San Michele, come del resto chiaramente affermato dalle fonti dell’epoca. Un tesoro che non sfuggirà all’attenzione dei Longobardi insediatisi a Benevento.

Dobbiamo precisare che nei primi anni di formazione del Ducato di Benevento i longobardi non sembrano spingersi mai in Puglia, concentrando la loro espansione verso la Campania, il Basso Lazio, la Basilicata, la Calabria. Solo dopo la morte di Arechi I, avvenuta nel 640 circa, i Longobardi di Benevento si spingeranno verso il Gargano. La prima occasione è nel 642 circa, quando i longobardi respinsero una invasione di Slavi, che erano sbarcati sul Gargano e avevano intenzione di insediarsi nella regione. Durante le operazioni militari morì il Duca di Benevento, il figlio di Arechi I, chiamato Aio e citato più spesso come Aione, e l’esercito longobardo elesse come proprio duca Radoaldo, che riuscì con un inganno a stanare gli Slavi dai loro accampamenti nascosti nella boscaglia della Foresta Umbra e dopo averli sconfitti in battaglia li obbligò a fuggire fuori dai confini del Ducato.

La seconda occasione capitò circa dieci anni dopo quando il nuovo duca di Benevento, il famoso Grimoaldo, fratello del defunto duca Radoaldo, corse di nuovo sul Gargano per scacciare un gruppo di pirati greci che avevano saccheggiato il Santuario di San Michele.

Essendo venuti dei greci a depredare il santuario (oraculum) del santo arcangelo sito sul monte Gargano, Grimoaldo piombò su di loro con il suo esercito e li sbaragliò con somma strage4.

Il Grimoaldo in questione era di fede ariana, venne infatti inserito in una congiura contro la corona pavese, all’epoca nelle mani della dinastia bavarese, di fede cattolica e poco incline a muovere guerra contro i possedimenti bizantini perchè difesi ideologicamente dal Papa. Suo figlio Romualdo prima lo sostituì come duca quando Grimoaldo divenne Re di Pavia grazie alla congiura orchestrata dalla fazione ariana, e poi gli successe come legittimo erede al trono ducale alla morte nel 671. Romualdo fu il primo duca di Benevento a professarsi cattolico e, secondo le fonti a nostra disposizione, fu proprio lui a costruire il primo vero Santuario di San Michele sul Gargano, costruendo delle scale di accesso e di uscita dalla grotta per facilitare il grande afflusso di pellegrini, che quindi dovevano essere molto numerosi. Inoltre Romualdo, come è chiaramente dichiarato in più fonti, prima tra tutte la Vita Barbati Episcopi Beneventani, riconobbe Barbato come Vescovo di Benevento e gli concesse la Diocesi di Siponto, da cui dipendeva il Santuario di San Michele. La Vita Barbati, inoltre, parla espressamente di come doveva essere speso il tesoro di San Michele, il quale, grazie alla concessione di Romualdo, doveva essere gestito dal Vescovo di Benevento, che era anche Vescovo di Siponto.

(Barbato) decise che in ogni tempo tutto il reddito della chiesa sarebbe stato diviso in quattro parti: la prima ai poveri, la seconda a coloro che in chiesa porgono lodi assidue al Signore, la terza ordinò che fosse distribuita per il restauro di chiese, la quarta che l’avesse il Vescovo per il soddisfacimento dei suoi bisogni5”.

E’ quindi palese ed evidente che i Longobardi di Benevento avessero ben presente il grande valore economico del Santuario e la loro scelta di riconoscere un Vescovo a Benevento, dopo diversi anni di sede vacante, contestualmente alla loro conversione al cattolicesimo, non doveva quindi essere completamente disinteressata. Ma oltre agli aspetti utilitaristici, occorre anche considerare l’aspetto più propriamente religioso. A tal proposito dobbiamo ricordare che qualche anno dopo il 663 il duca Romualdo sposerà la figlia del duca del Friuli, una cattolica, di nome Teuderada, la quale, molto probabilmente si spingerà in pellegrinaggio presso il Santuario di San Michele così come aveva fatto la cattolica Artellaide più di cento anni prima. E’ infatti decisamente improbabile che il duca di Benevento e la sua corte non si fossero mai recati presso il Santuario, visto che è proprio questo Duca che finanzia la prima vera sistemazione architettonica del santuario, intorno al 670.

Prova inconfutabile di tale opera è l’iscrizione ancora ben visibile nella parte più antica dell’attuale Santuario. L’iscrizione recita “de donis dei et sancti archangeli fiere iusse et donavit Romuald dux agere pietate Gaidemari fecit”, che può essere tradotta con: “Spinto dalla devozione e per ringraziamento a Dio e al Santo Arcangelo, il duca Romualdo volle che si realizzasse e finanziò (l’opera) Gaidemario la fece”.

  Il ringraziamento, secondo la “vulgata” popolare era per la vittoria contro i Napoletani, affrontati in una fantomatica battaglia di cui parla solo ed esclusivamente il Liber de Apparitione, ma è molto più probabile che facesse riferimento allo scampato pericolo del 663, quando i beneventani dovettero resistere all’assedio dell’imperatore bizantino Costante II. Nell’opera Vita Barbati, infatti, si parla dell’assedio come del motivo scatenante la conversione di Romualdo al cattolicesimo. Mentre secondo una ricerca più approfondita, dovrebbe essere stata proprio la presenza del Santuario di san Michele nei confini del Ducato di Benevento a spingere verso questa conversione la classe militare longobarda.

A tal proposito vale la pena ricordare un fatto storico non indifferente: quando Grimoaldo diventa Re di Pavia, egli costringe all’esilio il legittimo re Pertarito e ne sequestra tutta la famiglia che invia come ostaggi a Benevento. Tra questi ostaggi vi è anche Cuniperto, poi destinato a diventare a sua volta re. Cuniperto dovette però difendere il suo trono da un esercito capeggiato dall’usurpatore Alahis, che viene spesso descritto dalle fonti come un “senza Dio”. Durante la battaglia finale, Cuniperto sfida a duello Alahis per risolvere la questione senza spargimento di sangue, ma il “senza Dio” Alahis rifiuta affermando di aver visto San Michele tra l’esercito di Cuniperto e di non poter accettare. La battaglia quindi sarà inevitabile e finirà con il trionfo di Cuniperto, il quale, per ringraziare San Michele, conierà una moneta con l’effige del Santo su una delle facce. Sulla celebre moneta di Cuniperto infatti San Michele è raffigurato con una lancia ed uno scudo, proprio come i guerrieri longobardi schierati in battaglia.

  Ciò significa che Cuniperto, quando da ragazzo era tenuto come ostaggio a Benevento si era recato in pellegrinaggio presso il Monte Gargano. Lo stesso Alahis, quando si rifiuta di combattere in duello afferma che aveva giurato fedeltà a San Michele all’interno del suo santuario, quindi si era recato anche egli in pellegrinaggio sul Monte Gargano, pur essendo egli Duca di Trento e di Brescia.

Quando i due eserciti stavano per scontrarsi, Cuniperto inviò ad Alahis un nuovo invito: “Quanto popolo da una parte e dall’altra! E c’è proprio bisogno che tanta moltitudine muoia? Scendiamo noi due in singolar duello e a chi fra di noi Dio vorrà assegnare la vittoria, costui regni su di un popolo non decimato da una strage”

E poiché da tutti i suoi veniva esortato a fare ciò che Cuniperto gli proponeva, Alahis rispose: “Non posso, perchè tra le sue lance mi è apparsa l’immagine di San Michele, a cui ho giurato fedeltà nel suo luogo (da intendersi il santuario)6

Vi erano quindi diversi percorsi che portavano al Santuario di San Michele, a seconda del punto di partenza.

Che il Santuario fosse meta di pellegrinaggio internazionale è del resto suggerito anche dalla presenza di alcune incisioni in runico, ovvero nella forma grafica tipica delle popolazioni germaniche, a testimonianza che vi erano pellegrini che compievano viaggi interminabili pur di arrivare sul Monte Gargano. Ricordiamo inoltre che quando i Normanni arrivarono nel Sud Italia vennero impiegati innanzitutto come scorte militari ai pellegrini che si recavano al Santuario di San Michele. Ricordiamo anche che nel trattato della Divisio Ducatis dell’849 che pone fine alla guerra civile tra Radelchi e Siconolfo e sancisce la nascita dei Principati longobardi di Benevento e Salerno, vi è scritto chiaramente che negli impegni assunti dai beneventani c’era quello di garantire l’incolumità a tutti i pellegrini che si recavano presso il Santuario di San Michele provenendo dal Principato di Salerno.

VIII: E consentirò a tutti gli uomini sotto la vostra giurisdizione di andare alla venerabile chiesa di San Michele Arcangelo lungo il percorso sul quale si andava fin dai tempi dei vostri predecessori senza nessuna opposizione o danneggiamento o contrapposizione mia e di tutti gli uomini che abitano la mia terra o abiteranno, finchè vivo, affinchè vadano e tornino sani e salvi nella nostra terra (parte) per mia volontà, con eccezione del giudizio divino7.

Se leggiamo attentamente questo articolo del patto tra Radelchi e Siconolfo, subito la nostra attenzione cade sulla frase “di andare alla venerabile chiesa di San Michele Arcangelo lungo il percorso sul quale si andava fin dai tempi dei vostri predecessori”.

Questo significa che c’era un percorso prestabilito, ovvero quello sul quale si recavano fin dai tempi antichi, i pellegrini provenienti da Salerno, o in generale da Cilento e Calabria. Da quello che capiamo tale percorso non era lo stesso di quello che facevano i pellegrini provenienti da Benevento ma si dice espressamente che si trattava di in percorso dei “vostri” predecessori, da intendersi come abitanti di Salerno. Ma siccome tale concessione che fa Radelchi è rivolta non solo a Siconolfo che viene riconosciuto come Principe di Salerno ma anche ai signori di Capua, si potrebbe affermare che anche da Capua vi doveva essere un percorso prestabilito per i pellegrini diretti a Monte Sant’Angelo, ma presumiamo che dovesse coincidere con quello proveniente da Benevento.

Che il culto di San Michele fosse diventato così di moda tra i longobardi lo si comprende confrontandolo con la figura del dio Godan, che i Longobardi veneravano prima della loro conversione al cristianesimo. Sia Godan che San Michele sono divinità guerriere, sono raffigurate in armi, sono una forma di esaltazione della bellicosità, che i Longobardi incarnavano e volevano continuare ad incarnare per una questione identitaria.

Quando San Michele diventa il santo preferito dei Longobardi gli aspetti militareschi del Santo vengono amplificati e il suo culto inizia a perdere il carattere squisitamente taumaturgico che aveva invece avuto agli inizi. Ben presto da guaritore dei malati, San Michele Arcangelo diventa il protettore dei guerrieri longobardi. Per capire bene tale affermazione basterà ricordare che secondo la descrizione contenuta nella Chronica Sancti Benedicti Casinensis, risalente al IX secolo, la conquista longobarda del meridione e la conseguente nascita del Ducato di Benevento, venne effettuata in quanto alla guida dell’esercito longobardo vi era proprio San Michele.

(I Longobardi) dominarono l’Italia e si recarono a Benevento per stabilirvisi. L’Arcangelo Michele, capo delle schiere celesti, guidò il loro esercito.8

A questo punto dobbiamo chiederci come reagì il Papato, ovvero la Chiesa ufficiale alla diffusione di tale culto. Innanzitutto dobbiamo sottolineare che il Vescovo di Benevento non era nominato dal Papa ma era invece eletto dalla Curia di Benevento e godeva per tanto di completa autonomia rispetto al Papato. Tutti i vescovi di Benevento nel periodo longobardo sono infatti definiti dalle fonti sempre con l’aggettivo “eletto” e mai con l’aggettivo “consacrato”, perchè il Papa si rifiutava di consacrare i Vescovi dei Longobardi di Benevento, essendo suoi nemici giurati.

Per capire questa affermazione basterà citare una lettera di Papa Adriano I scritta nel maggio 778 ed indirizzata a Carlo Magno: “poichè in alcune città nostre della Campania agiscono i nostri ed i vostri nemici, i nefandissimi Beneventani, e convincono il nostro stesso popolo e combattono insieme agli abitanti per sottrarre alla nostra autorità i castelli di Gaeta e Terracina, stringendosi con giuramenti con il patrizio di Sicilia che risiede nel castello di Gaeta, e combattono contro il potere e l’autorità nostra e di San Pietro per sottomettere la Campania e soggiogare il patrizio di Sicilia (…) ti chiediamo amatissimo figlio affinchè, attraverso vostre lettere e un vostro fedelissimo messo di cui abbiamo parlato che vi piacerà mandare, i Beneventani, nefandissimi e odiati da Dio debbano ravvedersi da questa iniqua azione e lasciar stare queste cose nei nostri possedimenti in Campania, poiché noi in nessun modo vogliamo ricevere i Beneventani o i loro messi, né vogliamo riconoscere la consacrazione dei (loro) vescovi9

Anche se questa contrapposizione è totale con Adriano I, la mancata consacrazione dei Vescovi di Benevento da parte del Papa durante il periodo longobardo è un fatto molto diffuso, quasi una caratteristica dei tempi, che indica la totale autonomia da parte del Ducato di Benevento, anche dal punto di vista religioso.

Per questo motivo possiamo affermare che la prima Via Micaelica “ufficiale” ovvero istituzionale partiva da Benevento e non da Roma, come invece sarà nei secoli successivi. Per tutto il periodo longobardo il Santuario di San Michele dipendeva dalla Chiesa di Benevento e tutto il tesoro costituito dalle offerte dei pellegrini veniva messo a disposizione del Vescovo di Benevento. Ciò significa che il Vescovo di Benevento doveva recarsi diverse volte all’anno al Santuario, essendone colui il quale ne doveva celebrare le funzioni, certamente delegate a qualche sottoposto in caso di cerimonie meno importanti. Oltre al vescovo abbiamo visto che anche la corte ducale di Benevento si recava spesso al Santuario, come testimoniato dalla risistemazione architettonica voluta da Romualdo. Durante tutto questo periodo il Papa vedeva il Ducato longobardo di Benevento come uno stato nemico, non riconoscendone i vescovi. Non vi era dunque una via Micaelica che partisse da Roma, se non una che portasse prima all’interno del ducato di Benevento e si innestasse poi su quella che possiamo a ragione definire Via Sacra Langobardorum, la quale è da intendersi come la Via Micaelica originale.

Solo in seguito alla fine dell’autonomia Beneventana nel 1077, quando la città diventa patrimonio del Papa, la Via Micaelica “ufficiale” iniziò a partire da Roma. In particolare fu durante le crociate che la Via Micaelica romana acquisì importanza: i pellegrini combattenti, provenienti da tutta Europa, prima di imbarcarsi in Puglia per recarsi in Terra Santa, si fermavano senza dubbio a Roma per ricevere la benedizione del Papa e poi da lì si recavano presso il Santuario di San Michele, come dimostrato ampiamente non solo dalla fonti ma anche dalle iscrizioni ancora oggi ben visibili nella parte più antica del santuario.

Possiamo quindi chiederci adesso quali fossero i tragitti che seguivano i Longobardi di Benevento per recarsi a Monte Sant’Angelo al fine di individuare il tragitto della Via Micaelica originaria.

Come sempre faremo riferimento alle fonti storiche e partiremo dai resoconti dei viaggi compiuti nel corso del Medio Evo, In particolare ci serviremo del testo prodotto dal monaco islandese Nikulas del monastero di Munkapvera, in Islanda, conosciuto con il titolo di Leidghavasir, ossia Itinerario, scritto a partire dal 1154, testo che descrive il suo viaggio realizzato tra il 1152 e il 1153, quindi nei primi anni del periodo storico delle crociate.

Il monaco Nikulas seguì la Via Francigena, già decodificata nei secoli precedenti, ma è l’unico a parlare dell’itinerario dopo Roma per giungere a Brindisi. Tutti gli altri testi medievali conosciuti, infatti, non fanno cenno a itinerari più a sud di Roma.

Secondo il racconto di Nikulas da Roma si procedeva verso Montecassino, poi Capua, Benevento e quindi Siponto, Barletta, Trani e tutti i porti pugliesi fino a Brindisi.

E’ significativo che non vi siano citate città tra Benevento e Siponto, la città alla pendici del Gargano, dove inizia ancora oggi la salita verso il Santuario di San Michele.

Per quanto riguarda l’itinerario da Benevento a Siponto, ossia a Monte sant’Angelo, si trattava quindi di un percorso che doveva evitare le grandi città dell’epoca, altrimenti il monaco le avrebbe annotate. Come sappiamo infatti Nikulas cita sia Barletta che Trani, poste a pochissimi km di distanza, e questo ci fa capire che il silenzio su eventuali città attraversate tra Benevento e il Gargano è dovuto proprio al fatto che il percorso non attraversava nessun centro di grande importanza, quindi tagliava l’appennino e poi procedeva nelle campagne nell’attuale provincia di Foggia.

Si tratta comunque di una distanza da dover percorrere, a piedi, in almeno 5 giorni, se non di più, per cui è necessario che il viaggio fosse interrotto in punti prestabiliti, ovvero in luoghi di ricovero. Questo comportò, necessariamente, la nascita di ricoveri per i pellegrini, ricavati probabilmente da vecchie stazioni romane, le cui strade dovevano essere ancora attive, almeno in larga parte.

Tra le strade romane minori, una delle strade che consentiva il superamento della dorsale appenninica e quindi l’arrivo nel tavoliere delle puglie, era la cosiddetta Via Aemilia in Hirpinis, che era in sostanza una diramazione della Via Appia e consentiva di raggiungere prima la città sannitica-romana di Aequum Tuticum, nella zona di Castelfranco in Miscano, e poi la città di Vescellium, di difficile identificazione, forse corrispondente alla città medievale chiamata Vetruscelli, nei pressi di Ariano Irpino. Altre ipotesi identificano Vescellium con l’attuale Serra Viscigli, nei pressi di San Giorgio la Molara, e la mettono in relazione con la fortificazione preromana esistente su Monte Chiodo, nei pressi dell’attuale Taverna, ex Stazione di Posta borbonica, tra Casalbore e Buonalbergo.

Un altra strada romana era la Via Aurelia Aeclanensis, una diramazione della Via Appia che iniziava ad Aeclanum, nei pressi di Mirabella Eclano, e proseguiva verso Aequum Tuticum, attraversando Trivici Villa, forse l’attuale Trevico.

Da Aequum Tuticum partiva poi la Via Herculea, che proseguiva verso Grumentum (oggi Comune di Grumento Nuova), passando per Venosa e Potentia, collegandosi per ampi tratti alla via Appia. Seguiva la valle del fume Cervaro, ovvero partendo da Monteleone di Puglia si dirigeva verso Castelluccio dei Sauri.

Per quanto concerne la Tabula Peutingeriana, ossia il famoso stradario prodotto in area carolingia come copia di un antico stradario romano, nell’area interessata, sono riportate le strade che già conosciamo: da Benevento verso la Puglia partivano la Via Appia Antica in direzione di Eclano e la Via Traiana in direzione Foro Novo, corrispondente al borgo storico di Paduli. Da qui l’itinerario si divideva in due tronconi: il primo procedeva verso il villaggio di Furfane, poi scomparso e posto già nel Tavoliere delle Puglie, non molto distante dall’attuale Cerignola. Questa strada era in pratica la variante interna della Via Traiana.

  L’altra strada che partiva da Paduli corrisponde al vecchio tracciato della Via Minucia, che venne inglobata nella variante costiera della Via Traiana e portava a Siponto, che è raffigurata molto distante da Benevento, ma ricordiamo che la Tabula Peutingeriana è uno stradario e non ha nessuna connessione con la raffigurazione grafica, non si tratta infatti di una mappa ma appunto di uno stradario e come tale va letto.

Le città attraversate per giungere a Siponto da Paduli, ossia da Benevento, erano 4: la prima era Aecquo Tutico, il vecchio centro sannitico i cui scavi sono oggi purtroppo abbandonati, e che abbiamo già citato come punto di passaggio di alcuni itinerari appenninici. La seconda città attraversata era Aecas, ovvero l’attuale città di Troia. La Tabula riporta anche le distanze: da Benevento a Foro Novo occorreva camminare per 10 miglia romane, ossia circa 15 km; da Foro Novo a Aequo Tutico la distanza era di 12 miglia, ossia 18 km; da Aequo tutico a Aecas, ossia Troia,a la distanza era di 18 miglia romane, ovvero 27 km.

Dopo Troia, la Tabula presenta un grosso centro, almeno a giudicare dalla grandezza della rappresentazione grafica. Accanto al disegno della civitas compaiono due città: una è Nuceria Apule, ovvero Lucera in Puglia, mentre l’altra è chiamata Pretorium Laurianum, di difficile identificazione, ma è probabile che stesse molto prossima a Lucera in quanto non vi sono indicate miglia di distanza tra i due centri, così come non sono indicate le miglia di distanza tra Troia e Lucera. Dopo Lucera si arrivava ad Arpos, ossia Arpinova nei pressi di Foggia, distante soltanto 8 miglia romane, ossia 12 km. Da Arpos a Siponto le miglia finali erano ben 21, ossia oltre 31 km.

Vi era poi un altro itinerario che giungeva a Siponto provenendo da Larino, che sappiamo essere sede di un gastaldato del Ducato longobardo di Benevento. Anche Lucera era senza dubbio sede di Gastaldato e non escludiamo potesse esserlo anche Troia. Si tratta quindi di grandi centri, come del resto evidenziato anche nella Tabula Peutingeriana, per cui ci sembra strano che il monaco islandese, pur avendoli attraversati, abbia taciuto i loro nomi. E’ quindi probabile che il percorso compiuto dal monaco Nikulas debba essere stato diverso rispetto a quello indicato dalla Tabula Peuntingeriana. Come sappiamo infatti dalle nostre fonti, la città di Lucera si trovò al centro della guerra ventennale tra i Longobardi di Benevento e i Franchi di Carlo Magno e di suo figlio Pipino re d’Italia tra la fine del’VIII e l’inizio del IX secolo. Intorno all’802 Lucera venne prima conquistata dai franchi e poi liberata dai longobardi beneventani che vi catturarono il condottiero franco Giunichi, da pcoo divenuto Duca di Spoleto e uomo vicinissimo a Carlo Magno, per cui ne deduciamo che tutta l’area sia stata attraversata da episodi bellici e quindi i pellegrini, almeno momentaneamente, avranno dovuto trovare un’alternativa.

Nell’anno 802 Grimoaldo duca dei Beneventani catturò in Luceria il duca di Spoleto Winigisum, che comandava il presidio, arresosi perchè in cattiva salute e venne tenuto prigioniero in maniera onorabile10”.

Del resto tutto il Ducato venne attraversato da gravissimi episodi bellici, in particolare a partire dall’840 fino al 915 si registrarono diverse incursioni dei saraceni, che saccheggiavano e distruggevano i centri medio piccoli riuscendo talvolta ad assaltare anche centri più grandi, come nel caso della città di Bari, che divenne sede di un Emirato, riconosciuto dal Califfo Omayyade. Per questo motivo dovette svilupparsi un itinerario che si inerpicava sui monti onde evitare ai pellegrini di trovarsi coinvolti in episodi bellici, che si concentravano nei centri politici ed amministrativi che abbiamo visto disegnati sulla Tabula Peutingeriana e che potevano essere raggiunti facilmente dalle strade romane ancora in uso, strade che come abbiamo detto già all’inizio erano solcate principalmente da truppe militari, per cui i pellegrini optarono per seguire un diverso percorso.

In conclusione possiamo affermare che la nascita della Via Micaelica fu connessa alla diffusione del culto di San Michele Arcangelo a partire dalla prima metà del VI secolo tra le popolazioni italiche e ancora di più a partire dalla seconda metà del VII secolo quando il culto dell’Arcangelo guerriero si diffuse tra i Longobardi e in generale tra le popolazioni di cultura germanica che, in tutta Europa, andavano convertendosi al cattolicesimo cristiano. La diffusione del culto di San Michele coinvolse principalmente le classi militari del popolo dei Longobardi che erano restii a convertirsi al cattolicesimo e rimanevano di fede ariana, in quanto la fede nel cattolicesimo non si confaceva con la propria identità guerriera. Trovando nella raffigurazione di San Michele in armatura con spada e lancia, i Longobardi poterono conservare intatta l’esaltazione della bellicosità come tratto caratterizzante della propria identità ulturale, per cui ben presto San Michele sostituì anche iconicamente il dio Godan, che aveva molte delle qualità in comune con l’arcangelo. Da questo punto di vista assunse molta importanza la credenza popolare legata alla seconda apparizione di San Michele al Vescovo di Siponto Lorenzo Maiorano: in quell’occasione San Michele scatenò una tempesta che disperse l’esercito nemico, incarnando in tal modo uno degli attributi tipici di Godan, che aveva il potere di scatenare le tempeste.

Una volta convertitisi al cattolicesimo cristiano, i duchi longobardi di Benevento assegnarono al Vescovo di Benevento la giurisdizione sull’intera diocesi di Siponto, nelle cui dipendenze era anche e soprattutto il Santuario di San Michele sul Monte Gargano, che era originariamente una grotta ma che poi venne fatto oggetto di un imponente intervento costruttivo finanziato da Romualdo I, il primo duca cattolico di Benevento, spinto forse anche da sua moglie Teuderarda, di provata fede cattolica. Oltre alla costruzione della prima rampa di scale di accesso e deflusso dei pellegrini sul Gargano, i longobardi di Benevento si dedicarono al restauro di chiese, come dimostrato ampiamente proprio nel caso della Puglia. Non solo i Longobardi di Benevento ma anche le classi militari di Pavia subirono l’ascendenza di San Michele e ben resto il suo culto si diffuse in tutta Italia e pochi anni dopo la sua permanenza decennale a Benevento, il nuovo re Cuniperto coniò una moneta con l’effige di San Michele, per ringraziarlo del suo sostegno nella battaglia decisiva contro il suo sfidante Alahis, anche egli devoto, a suo dire, dell’arcangelo Michele.

Essendo il Santuario sul Gargano alle dipendenze dirette del Vescovo di Benevento, il quale poteva disporre del tesoro del Santuario, ovvero delle offerte realizzate dai pellegrini, è chiaro che fu necessario creare un itinerario ufficiale, seguito in primis dalla curia beneventana e talvolta dalla corte, ma anche da quei pellegrini che sempre più numerosi si riversarono verso il Santuario in cerca di una grazia, di una protezione, di un miracolo.

Data la grande diffusione del culto, ben presto nacquero diversi itinerari di viaggio verso il Santuario di San Michele, come dimostrato dalle fonti a nostra disposizione che parlano di tragitti tradizionali; tali itinerari che sicuramente potevano coincidere con le vecchie strade romane, ben presto furono costretti a essere ridefiniti a causa del lungo periodo di grave instabilità politica causata dalla guerra civile tra i Longobardi di Salerno e quelli di Benevento e dalla conseguente invasione delle milizie Saracene che si insediarono dapprima a Bari e poi nei pressi del Garigliano per lanciarsi in numerose incursioni, con devastazioni e saccheggi che non risparmiavano i luoghi sacri, di solito evitati nei conflitti tra truppe cristiane.

Nacque quindi un percorso che da Benevento si dirigeva verso Siponto senza attraversare nessun grosso centro abitato, almeno stando a quanto riportato dal Monaco Nikulas di Munkapvera che viaggiò intorno al 1152-53, ovvero solo cento anni dopo la fine della dipendenza del Santuario di San Michele dalla Diocesi di Benevento.

Proprio negli anni immediatamente successivi al viaggio di Nikulas, i pellegrini iniziarono ad indirizzarsi al Santuario di San Michele senza passare da Benevento, in quanto, con l’inizio del fenomeno delle crociate, i viaggiatori sostavano a Roma per ricevere la benedizione dal Papa e poi proseguivano verso la Puglia, tagliando attraverso il Molise, evitando di allungare per giungere prima a Benevento e poi scavalcare l’Appennino.

Al fine di ricostruire quale fosse il percorso di pellegrinaggio che da Benevento si inerpicava sugli Appennini per giungere infine nel tavoliere ed arrivare a Siponto, ci può essere utile realizzare una ricerca sul campo censendo i bivacchi, gli ospitali, le grotte di ricovero, le chiese rupestri, disseminate lungo i possibili percorsi di collegamento tra Benevento e Siponto. Uno di questi esempi di ricoveri nati al di fuori dei grossi centri del periodo alto medievale è proprio il centro di Molinara, che a quanto pare ospita sia un Ospitale che un Bivacco per pellegrini.

Ed è per questo che Molinara ospiterà un Convegno sulla Via Micaelica il giorno 20 agosto 2022, all’interno della Rievocazione Storica “I Longobardi sulla Via Micaelica” in programma il 20 e 21 agosto nel borgo storico di Molinara.

1 Si rimanda al saggio della professoressa Ada Campione su “Lorenzo di Siponto: un vescovo del VI secolo tra agiografia e storia”, pubblicato su Vetera Christianorum nel 2004

2 Si rimanda a Giorgio Otranto, I Longobardi e il Santuario del Gargano, relazione presentata in occasione della mostra I Longobardi del Sud svoltasi a Cosenza nel 2008

3 Vita et Obitus Beate Arthellays Virginis, Lectio VII, contenuta in Memorie Istoriche della Pontificia Città di Benevento, Stefano Borgia, Roma, 1763

4 Paolo Diacono, Historia Langobardorum

5Vita Barbati Episcopi Beneventani

6Paolo Diacono, Historia Langobardorum

7 Pracetpum concessionis sive capitulare in Guerre, accords et frontières en Italie méridionale pendant le haut Moyen Âge: Pacta de Liburia, Divisio principatus beneventani et autres actes a cura di JM Martin

8 Chronica Sancti Benedicti Casinensis, Prima Pars, IV

9Codex Carolinus, in MGH

10Annali del Regno dei Franchi