BENEVENTO RESISTE AL NEMICO, COME NEL 663

Nel corso della sua storia millenaria, la città di Benevento è stata molte volte assediata dai nemici. Tutte le altre volte il nemico era visibile e i beneventani non esitavano ad imbracciare le armi per sfidarlo in campo aperto, anche nel caso di disparità di forze. I beneventani furono capaci di sconfiggere le truppe di Annibale durante la seconda guerra punica, di resistere a Carlo Magno e a suo figlio dopo il crollo del Regno longobardo di Pavia, di creare seri grattacapi all’imperatore Federico II quando riuscirono a conquistare il feudo di Ceppaloni, solo per citare i personaggi più importanti che provarono a distruggere Benevento, senza riuscirci. Ma l’assedio più importante al quale i beneventani riuscirono a resistere fu senza dubbio quello del 663, quando l’imperatore bizantino Costante II alla guida dell’esercito imperiale si presentò sotto le mura della città dopo aver conquistato e distrutto alcune città pugliesi, tra cui Lucera, Herdania (attuale Ordona) e Ecana (attuale Troia). Benevento era all’epoca governata dal giovane Romualdo, in quanto suo padre Grimoaldo, già Duca della città, era diventato Re di Pavia e aveva lasciato suo figlio come duca “facente funzione”.

Come racconta Paolo Diacono nella sua “Historia Langobardorum”, nel 663 l’imperatore bizantino Costante II (chiamato in molte fonti Costantino) sbarca con un grosso esercito a Taranto e risale la penisola “con l’intenzione di strappare l’Italia dalle mani dei Longobardi”. Secondo Paolo l’imperatore bizantino conquistò e rase al suolo Lucera ma non riuscì a conquistare Acerenza, che resistette. Constante allora si diresse verso Benevento che assediò con tutto l’esercito. Il giovane Romualdo inviò il suo balio Sessualdo a Pavia per chiedere aiuto al padre, il quale subito radunò l’esercito e partì verso il Sud Italia. Durante il tragitto molti longobardi lo abbandonarono, convinti che Grimoaldo stesse tornando a Benevento per rimanervi. Intanto secondo il racconto della Historia Langobardorum, Romualdo teneva impegnati i bizantini con rapide sortite e “l’esercito imperiale attaccava violentemente con ogni mezzo Benevento, mettendo a dura prova Romualdo che resisteva coraggiosamente con il suo esercito”. Quando Grimoaldo è molto vicino al territorio beneventano fa avviare Sessualdo per recare la notizia del suo arrivo imminente ma questi viene catturato dai bizantini. Interrogando Sessualdo, l’imperatore “si spaventò” quando seppe della vicinanza di Grimoaldo e si affrettò a stipulare una pace con Romualdo al fine di attraversare il Ducato beneventano per raggiungere Napoli in tranquillità. Si avviano quindi le trattative di pace e l’imperatore riesce a farsi consegnare Gisa, sorella di Romualdo, come ostaggio e garanzia. Poco dopo fa avvicinare Sessualdo alle mura per fargli dire il falso, cioè che Grimoaldo non poteva correre in suo aiuto, minacciando di ucciderlo se avesse fatto il contrario. Sessualdo, però, preferisce la morte che il tradimento e grida a Romualdo che il padre è molto vicino ed egli non ha nulla da temere. Venne quindi ripreso dai bizantini e decapitato e la sua testa venne gettata dentro la città con una catapulta. Essendo i suoi piani saltati per l’eroismo di Sessualdo, l’imperatore Costante si affretta quindi a togliere l’assedio e si dirige verso Napoli ma cade in una imboscata da parte del duca di Capua Mitola, che nei pressi del fiume Calore lo sconfigge duramente. In ogni modo Costante ripara a Napoli e da qui organizza una spedizione militare guidata da Saburro il quale alla guida del grosso dell’esercito imperiale si accampa a Forino. Saputa la notizia Grimoaldo decide di affrontarlo apertamente ma il figlio Romualdo gli chiede la guida dell’esercito longobardo e, ottenuto dal padre il comando, marcia contro i bizantini, “con i suoi soldati”, ovvero con i beneventani “e con quelli ricevuti del padre”, cioè con l’esercito nazionale longobardo. Durante la battaglia si registra l’episodio di Amalogo, il porta-stendardo longobardo, che sradica un bizantino dal proprio cavallo e lo solleva sopra la propria testa: alla vista di questa scena i soldati bizantini fuggono per lo spavento e riparano  definitivamente a Napoli. Qualche tempo dopo l’imperatore si reca a Roma e poi in Sicilia, rinunciando non solo a conquistare Benevento ma lasciando ai beneventani campo libero per ingrandire il proprio Ducato. Pochi anni dopo, infatti, si registra la conquista di Brindisi e di gran parte del Salento da parte dei longobardi beneventani, con eccezione della città di Otranto.

Grazie alla fiera resistenza dei suoi abitanti, che furono capaci di sconfiggere l’esercito imperiale bizantino, la città di Benevento potrà quindi godere di un lungo periodo di prosperità e di pace: per oltre 200 anni i bizantini rinunceranno a conquistare il sud Italia, che diventerà quasi tutto “beneventano”.

L’episodio verrà raccontato anche e soprattutto nel testo agiografico conosciuto come “Vita Barbati Episcopi Beneventani”, che tanto ha contribuito alla diffusione della leggenda delle streghe. Secondo questo testo, scritto nel XI secolo, infatti, l’assedio bizantino a Benevento sarebbe la causa della definitiva conversione dei longobardi beneventani al cristianesimo, contestualmente all’abbandono definitivo dei riti tradizionali che venivano descritti dall’agiografia come “pagani” ma ancora molto diffusi tra il popolo. A sancire in maniera definitiva la conversione al cristianesimo, l’agiografia racconta del taglio del noce magico attorno al quale avvenivano i rituali pagani incriminati, taglio a cui segue lo sradicamento completo operato da San Barbato in persona. Nel processo di conversione sembra aver avuto un ruolo principale Teodorada, la moglie di Romualdo, il quale si trova appunto a dover gestire l’assedio. Infatti al fine di rafforzare la sua amicizia con Lupo, il duca del Friuli, che considera un suo fedelissimo, il Re-Duca Grimoaldo organizza il matrimonio tra suo figlio e la figlia del duca friuliano, la già cristiana Teodorada, la quale sembra avere un ruolo di primo piano anche nella costruzione delle prime chiese longobarde e nel ripristino di siti cristiani precedentemente devastati dai longobardi stessi, primo tra tutti il monastero di Montecassino, che adesso diventa un punto di riferimento importante per l’aristocrazia longobarda meridionale ormai cristianizzata, ma anche e soprattutto Monte Sant’Angelo, dove i longobardi beneventani erigono un monastero in onore dell’arcangelo Michele, che diventerà il santo protettore di longobardi.

La Vita di San Barbato descrive l’assedio di Benevento ad opera di Costante II come il contesto storico entro cui si narra l’azione evangelizzatrice del santo, nominato Vescovo della città proprio in virtù della sua grande opera di conversione. Il racconto inizia con la descrizione dei riti pagani: i guerrieri longobardi si radunavano fuori città attorno ad un albero sacro al quale appendevano una pelle sacra che poi battevano con forza dopo aver cavalcato in modo sfrenato prima dando le spalle all’albero e poi correndo in maniera forsennata verso l’albero stesso. Tale descrizione è stata spesso travisata e ancora oggi molti credono che i longobardi cavalcassero al contrario, ma ciò è oggettivamente impossibile, del resto il testo è chiaro: i cavalli vengono cavalcati dando le spalle all’albero, non alla briglia. Consapevole di queste aberrazioni, il cattolico Barbato cerca di predicare il cristianesimo ma appare un’impresa impossibile, visto che anche i governanti sono schiavi di queste credenze, a cui sembrano dare una notevole importanza. Tutto cambia quando arriva alle porte della città l’esercito bizantino: Romualdo invia il suo messo dal padre ma in cuor suo sa di non avere scampo, perchè il suo esercito è troppo esiguo rispetto all’imponente truppa imperiale. Nel momento di massimo sconforto, Romualdo medita la resa, proponendo un suicidio collettivo, cioè affrontare a viso aperto il nemico sapendo di essere sconfitti, ed è proprio a quel punto che entra in scena Barbato, che consiglia al Duca di affidarsi completamente alla Vergine Maria, la quale proteggerà la città se egli abbraccerà la fede cristiana. Per convincere il Duca, Barbato lo accompagna, nottetempo, sulle mura della città e i due assistono all’apparizione della Vergine Maria sulla cinta muraria, un segno che vuol significare protezione divina. Romualdo, colpito dalla visione, si dichiara pronto ad abbracciare la fede cristiana in modo definitivo e allora il vescovo lo assicura sul fatto che il giorno dopo l’assedio finirà.

Come preannunciato dalla visione mariana, il giorno dopo l’esercito bizantino leva l’assedio e abbandona la città. Romualdo è raggiante e premia Barbato, ma, dopo qualche tempo, ritorna nel peccato: sua moglie Teodorada, infatti, convoca di nuovo il Santo per confessargli che suo marito, anche se pubblicamente cristiano, in privato continua a venerare una vipera d’oro, che tiene nascosta nella sua stanza. Allora il vescovo, con l’aiuto di Teodorada si presenta al Duca proprio mentre egli effettua questo rituale pagano e lo rimprovera duramente, incolpandolo di essere uno spergiuro e di non essere riconoscente verso chi gli ha garantito la salvezza del ducato. Colpito dalle dure parole del santo, il duca Romualdo si pente amaramente di aver tradito la promessa fatta e consente a Barbato di fondere la vipera d’oro, giurando di abbracciare una volta per sempre la fede cristiana. Infine, Barbato ottiene dal duca il permesso di sradicare completamente il noce per porre fine ai riti pagani e sotto le sue radici trova due vipere, simbolo del demonio. Sullo stesso luogo fonda una chiesa, chiamata Santa Maria in Voto, grazie alla donazione di Teodorada. Tutta questa versione viene riportata dal De Nuce Maga, opera di Pietro Piperno, patrizio beneventano, prodotta nel 1635 e ristampata nel 1640, opera che tanto ha contribuito alla nascita della leggenda delle streghe di Benevento ma che in realtà aveva lo scopo di esaltare la famiglia di Traiano de La Vipera, committente dell’opera, il quale in tal modo poteva rivendicare il suo legame con i duchi longobardi di Benevento e quindi la sua origine più che nobile.

Fu dunque resistendo ad un assedio che Benevento divenne più prospera, più potente, più ricca e famosa per le sue “streghe”. E’ quindi necessario resistere al nemico esterno, oggi invisibile ma non meno pericoloso, per poter, domani, risorgere più forti e uniti che mai. E’ fondamentale mantenere l’unità e la solidarietà tra cittadini così come è necessario attenersi alle disposizioni governative senza provare a sostituirsi al Governo nazionale o alle forze dell’ordine o ancora peggio ai medici. Ognuno faccia la propria parte: chi è nelle seconde linee deve spingere e sostenere chi sta combattendo in prima linea, ovvero i nostri medici ed infermieri. A loro va il ringraziamento di tutti i beneventani di oggi, di ieri e di domani.

Resistiamo all’assedio e torneremo liberi !!!