Quando si dice “Medio Evo”, molti pensano, erroneamente, al Rinascimento, ovvero ai secoli XV e XVI per via dell’abbondanza delle fonti iconografiche di quel periodo. La maggior parte dei quadri e degli affreschi di cui disponiamo è stata infatti prodotta nell’ultima parte dell’età medievale, eppure spesso si confonde quell’epoca con tutti i mille anni di durata del periodo.
Per quanto riguarda invece l’Alto Medio Evo, ovvero il periodo storico che va dal crollo dell’Impero Romano d’Occidente all’anno Mille, non abbiamo molte fonti iconografiche e quelle che ci sono presentano una notevole involuzione tecnica rispetto alle soluzioni artistiche precedenti. Per questo motivo la ricostruzione degli abiti longobardi non è stata semplice, perché basata su scarsissimi documenti e fonti, che comunque offrono elementi dai quali partire per un lavoro filologicamente corretto.
Innanzitutto c’è da dire che nell’Alto Medio Evo si aveva ancora come modello la cultura e la moda di Roma, che i longobardi potevano ammirare dai tantissimi resti di tombe e di edifici che presentavano figure maschili e femminili in larghissime tuniche.
Per tradizione, dunque, la tunica era l’abito più diffuso, sia per le donne che per gli uomini.
Le donne portavano una tunica a maniche lunghe che arrivava fino ai piedi, spesso con lo strascico, sulla quale indossavano vesti più preziose, quando se le potevano permettere. In vita anche le donne portavano una cintura, spesso in cuoio, alla quale appendere i diversi utensili da lavoro o preziosi, borsette, oggetti. La tunica degli uomini, invece, era più corta ed arrivava fino al ginocchio, legata in vita da una robusta cintura in cuoio, che oltre ad essere l’elemento più importante del vestiario, testimoniava anche la classe sociale di appartenenza. Attraverso la propria cintura, un arimanno longobardo manifestava il suo peso sociale e la sua ricchezza.
I longobardi erano essenzialmente guerrieri, per cui nel loro abbigliamento maschile un ruolo centrale veniva occupato dalla spada o dallo scramasax, ma anche dallo scudo, spesso dalla lancia o da altre armi. Il “cappotto” dell’epoca era il mantello, che i longobardi chiudevano con le loro tradizionali fibule, le quali rappresentano una delle caratteristiche tipiche del popolo dalle lunghe barbe, in particolare per quanto riguarda le fibule ad S, purtroppo mancanti nei ritrovamenti archeologici del Sud Italia. Una volta stabilitisi in Italia, infatti, i longobardi adottarono stoffe più leggere, a partire dal Lino (per i ricchi), ma non disdegnavano di utilizzare la canapa. Di una o più tuniche di lino come indumento principale dei longobardi, parla espressamente Paolo Diacono nella Historia Langorbardorum, specificando che le tuniche “erano ornate con larghi orli tessuti in vari colori”. Sempre Paolo Diacono ci fornisce alcune importanti notizie sulle calzature, che erano “aperte fino quasi all’estremità dell’alluce e assicurate da lacci intrecciati”. Al di sotto della tunica, i longobardi indossavano pesanti brache, una sorta di pantaloni spessi, che li proteggevano dal freddo. Alle caviglie indossavano una sorta di parastinchi in panno pesante, che li difendeva sia dalle storte che dalla fanghiglia, dalla polvere, dalla sporcizia, sempre in agguato su strade sterrate e su terreni impervi.
Per quanto riguarda i colori del periodo, occorre ricordare che fino alla fine del XIX secolo, l’unico procedimento di tinteggiatura dei tessuti era legato ai processi di colorazione naturale mediante l’uso di piante. Per molti secoli, dunque, i colori a disposizione erano pochi e molto opachi e, come se non bastasse, i processi di colorazione erano lunghi e complessi, per cui si procedeva con l’immersione dell’indumento in un tino, immersione che durava molti giorni, ovvero il tempo necessario al tessuto per impregnarsi di quel colore.
Per questo motivo, durante tutto il Medio Evo, il colore era sinonimo di ricchezza e si arrivò a definire delle leggi suntuarie che proibivano ai poveri di indossare vesti colorate, che restava quindi un privilegio dei nobili.
Il Giallo si ricavava dallo zafferano, il Rosso dalla robbia, il Viola dai mirtilli neri, il Marrone dal noce e dal nocciolo (a seconda dell’intensità), il Nero dal castagno. Quelle che oggi sono dunque le cosiddette “macchie ostinate” che sempre più efficaci detersivi provano ad eliminare, all’epoca erano i “colori” veri e propri a disposizione delle persone. Per ottenere determinati tipi di colore, si procedeva ad una doppia immersione, una che stabilizzava la base del colore ed un’immersione successiva (anche di colore diverso) che serviva a fissare il colore definitivo.
Durante la fasi di immersione nel tino, venivano aggiunti dei cosiddetti “mordenti”, ovvero degli aggreganti, che servivano a fissare sul tessuto i pigmenti del colore e che erano indispensabili per una colorazione di alta qualità, cioè che durasse nel tempo. I mordenti erano di due tipi: a base di tannino e a base di potassio. I mordenti tanninici più diffusi erano le scorze di alcuni alberi, tra cui gli ontani e le querce, mentre i mordenti potassici, molto più utilizzati, erano principalmente la Cenere e l’Allume, uno dei minerali più ricercati in tutto il Medio Evo, che oltre a fissare i colori su ogni tipo di tessuto, conferiva all’abito anche una certa luminosità, per cui ben presto si ricorse a questo minerale (estratto dall’allumite) su vasta scala, soprattutto dopo la scoperta di vasti giacimenti nel Lazio.
Il materiale che abbiamo usato per la riproduzione degli abiti longobardi è il cotone, essendo il lino e la canapa divenuti col tempo costosissimi. La produzione è affidata ad artigiani e piccole attività tessili della nostra provincia, ma per gli abiti più ricercati, in particolare quelli delle protagoniste femminili, la progettazione e il confezionamento sono stati affidati ad una giovane costumista locale, Francesca De Rienzo .
La colorazione degli abiti prodotti è stata realizzata artigianalmente con processi di colorazione naturale. Molti abiti sono stati confezionati con stoffe già colorate.
Le cinture di cuoio sono state realizzate artigianalmente, da due diversi artigiani: uno specializzato in cinture in cuoio per nobili arimanni ed uno che ha prodotto le cinture per il popolo minuto. I gioielli sono ispirati ai monili dei corredi funerari rinvenuti nelle diverse necropoli longobarde, in particolare quella di Nocera Umbra, Castel Trosino e Benevento.
Le scarpe sono state realizzate artigianalmente, da diversi artigiani del territorio. Brache e parastinchi, anche questi realizzati artigianalmente, vanno a completare il tipico vestito del maschio longobardo.
Le donne, invece, indossano una tunica lunga fino ai piedi, una cintura di cotone o di cuoio e dei sandali senza lacci. A completare il loro vestiario ci sono ghirlande, mantelline e soprattutto scialli, pezzi di stoffa che le principesse longobarde indossavano per manifestare il loro rango sociale.
Ovviamente i costumi sono diversificati in base al rango sociale di appartenenza dei figuranti.
La nostra fonte iconografica principale è stato l’Exultet Vat. Lat. 9820, che riproduce figure maschili di diverso rango sociale, preso in visione in riproduzione presso la biblioteca arcivescovile di Benevento. Anche se è leggermente postumo rispetto al periodo rievocato, l’Exultet è stato prodotto proprio a Benevento, quindi mette in mostra l’abbigliamento del luogo.